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Diomede il temerario

 Diomede


Non è sicuramente l'eroe più conosciuto, ma tra gli Achei era uno dei più valorosi; si dice che fosse secondo solo ad Achille e ad Aiace Telamonio.
Era il figlio della principessa di Argo, Deipile, e di Tideo, uno dei Sette contro Tebe. Il suo nome era Diomede, l'unico mortale che ha osato sfidare e ferire alcuni tra gli dei immortali, ma prima di ciò aveva già compiuto grandi imprese.
Suo padre fu uno dei Sette contro Tebe nella guerra per il trono della città fra i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice. Durante l'assalto alle porte, Tideo si scontrò con il suo nemico giurato, Melanippo, e si abbatterono l'uno con l'altro. Tideo, poiché era un protetto di Atena, avrebbe potuto salvarsi grazie alla medicina che lei gli stava portando, ma la sua ferocia le causò sdegno: egli infatti, nonostante fosse a terra e ferito, spaccò il cranio di Melanippo e ne divorò il cervello. Disgustata, Atena se ne andò, lasciando morire il suo protetto. I Sette persero la guerra contro Tebe.
I figli degli eroi sconfitti, conosciuti come "Epigoni", sognavano di vendicare i loro padri, così passarono tutta la loro giovinezza ad addestrarsi nell'arte della guerra, finchè non arrivò il fatidico momento. Capeggiati da Alcmeone per volere dell'oracolo, gli Epigoni marciarono contro Tebe e ne sbaragliarono l'esercito, facendo fuggire gli abitanti per poi saccheggiare la città. I Sette vennero vendicati e la seconda guerra fu vinta. In questa battaglia si distinse, più tra tutti, il figlio di Tideo, Diomede.
Divenuto il re di Argo, fu uno dei pretendenti alla mano di Elena, ma questa scelse il re di Sparta Menelao come sposo, così Diomede prese in moglie la figlia di Adrasto, Egialea, ma presto l'avrebbe lasciata sola per partire insieme a tutti gli altri re Achei per la Guerra di Troia, a seguito del rapimento di Elena per mano del principe Paride. Portò con se, nella spedizione, ottanta navi.
La Guerra di dilungò per nove anni e le mura sembravano inespugnabili, ma Diomede dimostrò più volte il suo valore in battaglia uccidendo numerosi nemici. Si distinse soprattutto dopo che Achille, il più forte tra i forti, smise di combattere a causa di una lite con Agamennone. I più grandi poeti come Omero cantarono per secoli delle gesta di Diomede, soprattutto riguardo ad un giorno particolarmente glorioso per questo eroe, in cui egli, a detta di molti, sembrava "Un torrente in piena che tutto travolge"; sul suo carro da battaglia abbatteva un nemico dopo l'altro, fino ad arrivare faccia a faccia con uno dei più eroici tra gli alleati Troiani: il principe dardano Enea, figlio della dea Afrodite.
Diomede ferì Enea lanciandogli un masso che due uomini da soli non sarebbero stati in grado di sollevare, così Afrodite si mise a protezione del figlio; ma l'Acheo scagliò la sua lancia verso di lui, ferendo alla mano la dea che lo stava proteggendo, la quale fuggi immediatamente sull'Olimpo dopo avere messo in salvo il figlio.

Subito dopo intervenne però il suo amante focoso: Ares, il brutale dio della guerra, che anche lui parteggiava per i troiani. Io dio provò a scagliare la lancia contro Diomede, ma questa venne deviata da Atena. L'eroe lanciò, a sua volta, la sua contro il dio, che fu sempre guidata dalla dea fino a conficcarsi nel ventre di Ares, che per il dolore cacciò un urlo talmente potente da spaventare tutti gli schieramenti sul campo. Il Tidide, oltre ad avere causato la morte di molti eroi valorosi, era riuscito anche a ferire due dei immortali. Ma la cosa, in futuro, avrebbe causato la collera e la vendetta di Afrodite.
Durante la Guerra si distinse numerose altre volte, spesso facendo coppia con l'astuto Odisseo: i due riuscirono a penetrare persino nelle mura della città per rubare il sacro Palladio, senza il quale la città sarebbe inevitabilmente caduta. Sempre con Odisseo, riuscì anche a penetrare nell'accampamento dei Traci alleati dei Troiani, nel quale uccise il loro re, Reso, e gli rubò i cavalli.
Nonostante Diomede apparisse come un guerriero forte e brutale, non mancava mai di rispettare i sacri vincoli imposti dal divino, come l'ospitalità. Durante una battaglia, infatti, si imbatté nel comandante dei lici, Glauco, il nipote di Bellerofonte. Appena i due si videro, si ricordarono che i loro nonni, Bellerofonte ed Eneo, in passato si erano dati ospitalità e si erano scambiati i nomi. I due discendenti, al posto di combattersi, rinnovarono quell'antico legame e diedero in dono all'altro le proprie armi, per poi rimettersi nei rispettivi schieramenti.
Terminata la Guerra di Troia e saccheggiata la città, Diomede fece ritorno ad Argo con un grande bottino, ma la dea Afrodite pensò bene di vendicarsi per l'affronto subìto. Tolse la memoria di lui a sua moglie Egialea e a tutti i suoi sudditi, così quando tornò nessuno lo riconobbe e fu costretto a fuggire via, in cerca di nuove terre da colonizzare.
Veleggio ad Ovest, verso le terre di Esperia, e lì sbarcò in Italia, nella quale fondò numerose città come Brindisi e Benevento. Per ingraziarsi Afrodite e per interrompere la sua ira, fondò anche una città in suo nome chiamata "Venusia" (Venere).
L'eroe e Afrodite si riappacificarono finalmente, e alla morte di Diomede la dea trasformò i suoi compagni in uccelli marini, le Diomedee, cosicché bagnassero per sempre la tomba del grande eroe Acheo.





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