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Cesare Mori - Il prefetto di ferro

 Il prefetto Cesare Mori .



Si racconta che quando Mussolini si recò in Sicilia in visita ufficiale si sarebbe aspettato un minimo di deferenza come le esultazioni classiche di piazzale Venezia. La stessa deferenza se l'aspettavano le autorità locali nella ormai consolidata pratica di gestirsi l'isola con mezzi autonomi .
Il duce visibilmente contrariato non avrebbe mai permesso uno Stato in un altro Stato. Per tutta risposta trovò la piazza vuota per il suo comizio.
Nemmeno un regime dittatoriale avrebbe risolto facilmente una "questione meridionale" dalle radici antichissime, in sintesi un secolare degrado economico e la gestione medioevale dei fondi agricoli con un padronato locale di tipo feudale che non riconobbe mai lo Stato come autorità, un isolamento che produsse banditismo e una prepotente mafia ramificata fino in continente.
I provvedimenti non si fecero attendere.
Arrivo' un prefetto con poteri straordinari. Cesare Mori
"Costoro non hanno ancora capito che i briganti e la mafia sono due cose diverse. Noi abbiamo colpito i primi che, indubbiamente, rappresentano l'aspetto più vistoso della malvivenza siciliana, ma non il più pericoloso. Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero."
Cesare Mori nasce il 22 dicembre 1871 a Pavia. Cresciuto nei primi anni di vita nel brefotrofio della città lombarda, dove gli assegnano il nome provvisorio di Primo (visto che è stato il primo orfano preso in carico; in seguito Primo rimarrà il suo secondo nome per tutta la vita) e il cognome provvisorio di Nerbi, viene riconosciuto ufficialmente dai genitori naturali solo nel 1879. Dopo aver studiato a Torino presso l'Accademia Militare, viene trasferito in Puglia, a Taranto, dove conosce la sua futura moglie, Angelina Salvi. Passato in polizia, viene chiamato dapprima a Ravenna, e poi, a partire dal 1904, in Sicilia, a Castelvetrano, località in provincia di Trapani. Qui Mori agisce con prontezza e vigore, adottando un modo di pensare e di operare inflessibile, rigido e deciso, sicuramente poco ortodosso, che verrà ripreso più tardi in tutta la Sicilia (seppur con una libertà di azione e un'autorità senza dubbio maggiori).



Dopo aver compiuto diversi arresti ed essere scampato a più di un attentato, viene denunciato per abuso di potere, ma le accuse nei suoi confronti si trasformano sempre in assoluzioni. Strenuamente impegnato nella lotta contro la mafia, nel mese di gennaio del 1915 Mori viene trasferito a Firenze, dove assume la carica di vicequestore. All'inizio della Prima Guerra Mondiale, tuttavia, fa ritorno in Sicilia, dove viene nominato comandante di squadre speciali finalizzate a sconfiggere il fenomeno del brigantaggio (una realtà in costante aumento soprattutto a causa dei renitenti alla leva).
I rastrellamenti ordinati da Cesare Mori si contraddistinguono per i metodi radicali e fin troppo energici (in una sola notte riesce a fare arrestare oltre trecento persone a Caltabellotta) ma ottengono risultati eccezionali. I giornali si mostrano entusiasti, e parlano di colpi letali alla mafia, suscitando tuttavia l'indignazione del vice-questore: a essere colpito, infatti, era stato il brigantaggio, vale a dire l'elemento più visibile della delinquenza dell'isola, ma certamente non il più pericoloso. Secondo Mori, in particolare, colpire in maniera definitiva la mafia sarebbe stato possibile solo nel momento in cui si sarebbero potuti eseguire rastrellamenti, oltre che "tra i fichi d'India" (cioè tra le popolazioni più povere), anche nelle questure, nelle prefetture, nei palazzi padronali e nei ministeri.
Insignito della medaglia d'argento al valore militare, Cesare Mori viene promosso questore, e trasferito prima a Torino, poi a Roma e infine a Bologna. Nel capoluogo felsineo opera da prefetto, dal febbraio del 1921 all'agosto del 1922, ma, mantenendosi servitore fedele dello Stato e intenzionato per questo ad applicare in maniera inflessibile la legge, si oppone - caso raro tra gli appartenenti alle forze dell'ordine dell'epoca - allo squadrismo fascista. Dopo il ferimento del fascista Guido Oggioni, vice-comandante della Sempre Ponti, avvenuto durante il ritorno da una spedizione punitiva nei confronti dei comunisti, la tensione politica cresce sempre più, accentuata dall'uccisione del segretario del Fascio Celestino Cavedoni. Mori, in particolare, viene contestato per essersi opposto alle spedizioni punitive fasciste e alle loro violente rappresaglie, e per aver spedito la polizia contro di loro.
Richiamato in Sicilia alla fine della primavera del 1924 direttamente dal ministero dell'Interno, Cesare viene nominato prefetto e spedito a Trapani, dove è ben nota la sua fama di uomo tutto d'un pezzo (e il fatto di non essere siciliano, e quindi in contatto diretto con la mafia, rappresenta un valore aggiunto). A Trapani rimane poco più di un anno, durante il quale decide di ritirare tutti i permessi d'armi e di nominare (è il gennaio del 1925) una commissione provinciale che si dedichi alla concessione dei nulla osta (nel frattempo resi obbligatori) per la guardianìa e il campieraggio, attività normalmente gestite dai mafiosi.
Anche nella provincia trapanese l'intervento di Mori produce effetti positivi, al punto da indurre Benito Mussolini a sceglierlo come prefetto di Palermo. Insediatosi ufficialmente il 20 ottobre del 1925, Cesare, nel frattempo rinominato "Prefetto di ferro", assume poteri straordinari, e la competenza sulla Sicilia intera, per provare a sconfiggere la mafia sull'isola. Secondo quanto scrive Mussolini in un telegramma inviatogli, Mori ha "carta bianca per ristabilire in Sicilia l'autorità dello Stato: se le leggi vigenti saranno un ostacolo, creeremo nuove leggi senza alcun problema".



Il lavoro a Palermo dura fino al 1929: in quattro anni, viene messa in atto una rigida repressione verso la mafia e la malavita locale, andando a colpire anche signorotti locali e bande di briganti mettendo in pratica metodi decisamente al di fuori della legalità (ricatti, cattura e rapimento di ostaggi, torture). Mori, comunque, ha l'appoggio esplicito di Mussolini, anche perché i risultati da lui ottenuti sono positivi. A volte, tuttavia, accade che il pugno di ferro si indirizzi anche contro gli oppositori politici, comunisti o socialisti che siano.
Il primo gennaio del 1926 va in scena l'azione più celebre, il cosiddetto assedio di Gangi. Con l'aiuto di numerosi uomini della Polizia e dei Carabinieri, Mori rastrella il paese (una vera e propria roccaforte dei diversi gruppi criminali) casa dopo casa, prendendo e arrestando latitanti, mafiosi e banditi di vario genere. Spesso donne e bambini vengono presi in ostaggio per indurre i malavitosi a cedere e arrendersi, con metodi di azione particolarmente duri.
Contemporaneamente all'azione della polizia, anche quella dei tribunali si inasprisce nei confronti dei mafiosi. Tra le persone interessate dalle indagini, non mancano figure di spicco come Antonino di Giorgio, ex ministro e generale di Corpo d'Armata, che, nonostante abbia chiesto l'aiuto di Mussolini, viene processato e pensionato in anticipo, oltre che costretto alle dimissioni da deputato. Attraverso una forte attività di dossieraggio, le inchieste di Cesare Mori e di Luigi Giampietro, procuratore generale, vengono indirizzate da circoli affaristici e politici fascisti collusi con la mafia verso Alfredo Cucco, deputato del Partito Nazionale Fascista ed esponente del fascismo radicale siciliano. Nel 1927 Cucco viene espulso dal partito per indegnità morale, e costretto ad abbandonare anche la Camera. Processato con l'accusa di essersi avvantaggiato di favori dalla mafia, che gli avrebbe donato del denaro, verrà assolto quattro anni dopo in appello, quando però il fascio isolano è ormai privo dell'ala radicale: l'operazione, insomma, è riuscita, anche perché la rimozione di Cucco dalla politica siciliana ha permesso che all'interno del partito entrassero latifondisti non di rado contigui o addirittura collusi con la mafia.



La situazione tuttavia non è sempre rosea, nel senso che spesso l'operato di Giampietro viene ritenuto eccessivo: non di rado sulle scrivanie del Duce giungono lettere anonime che minacciano ribellioni e rivolte. Mentre durante il processo a Cucco gli avvocati dell'imputato ritraggono Mori come un persecutore politico, il Prefetto di ferro viene cooptato nel Senato del Regno. Secondo la propaganda fascista, la mafia è stata finalmente sconfitta; in realtà, Giampietro e Mori erano riusciti a contrastare solo esponenti di secondo piano della malavita, mentre la cosiddetta "Cupola", costituita da politici, latifondisti e notabili, era rimasta intonsa. In qualità di senatore, Mori si occupa ancora di Sicilia, ma senza avere alcun effettivo potere rimane emarginato. Non solo: continuando a parlare del problema della mafia, suscita l'irritazione delle autorità fasciste, che lo invitano esplicitamente a smettere di evocare una vergogna ormai cancellata dal fascismo. A partire dal 1932, il senatore pavese scrive le sue memorie, racchiuse nel volume "Con la mafia ai ferri corti". Morirà a Udine il 5 luglio 1942: il suo corpo è sepolto a Pavia.
A quasi un secolo di distanza, oggi si discute ancora dei metodi utilizzati da Mori per contrastare la mafia. La sua fama di figura scomoda non è dovuta solo alla sua efficace e vigorosa azione in grado di colpire anche ai piani più alti a dispetto dell'opposizione di numerosi fascisti, ma anche alla creazione di un ambiente ostile alla mafia dal punto di vista culturale. La sua azione si esplica nella volontà di condannare i criminali con pene implacabili e severe, per eliminare definitivamente la sensazione e il clima di impunità che governano l'isola, e di contrastare il fenomeno mafioso nella rete di interessi economici e nella consistenza patrimoniale.
Scopo di Mori, inoltre, è quello di conquistare il favore della popolazione, facendo sì che essa stessa si attivi nella lotta alla mafia, combattendo l'omertà e sostenendo l'educazione delle generazioni più giovani. Mori, inoltre, non si interessa solo degli strati della mafia più bassi, ma si occupa delle sue connessioni con l'ambiente politico. Il punto di partenza, però, è il ceto medio rurale, composto da sovrastanti, guardiani, campieri e gabelloti: la maggior parte dei mafiosi è racchiusa qui, e tiene sotto scacco sia le popolazioni più povere che i proprietari più grandi. A Palermo, gli omicidi compiuti nel 1925 sono 268; nel 1926 sono 77. Le rapine commesse nel 1925 sono 298; nel 1926 sono 46. I risultati dell'azione di Mori, insomma, sono evidenti.
A Cesare Mori è stato dedicato il film di Pasquale Squitieri "Il prefetto di ferro", con Claudia Cardinale e Giuliano Gemma e le musiche di Ennio Morricone. Tratta dal romanzo omonimo di Arrigo Petacco, la pellicola non è stata particolarmente apprezzata, soprattutto per la scarsa aderenza ai fatti realmente avvenuti.





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