Anonimato Internet per P2P e navigazione online con software di Pirate Bay disponibile da scaricare
The Pirate Bay lancia Ipredator, un nuovo software che garantisce l'anonimato in Rete dell'utente sia quando naviga su Internet che quando utilizza sistemi di scambio file o di streaming video. Finora il programma era in versione di test limitata, ora è disponibile da scaricare per tutti al costo di 5 euro al mese.
La risposta del famoso sito P2P svedese ha un valore anche e soprattutto politico rispondendo in questo modo alle varie leggi europee che mirano a contrastare lo scambio illecito di file basate principalmente sulla direttiva europea Ipred. Secondo questa normativa, approvata anche in Svezia, i proprietari dei diritti d'autore possono richiedere ai provider Internet di fornire i dati personali degli utenti che presubilmente in base all'intercettazione online del numero IP usano sistemi come BitTorrent, eMule o altri similari.
È da sottolineare che i programmi che garantiscono l'anonimato in rete sono sempre più diffusi soprattutto tra i giovani, che rappresentano spesso gli utenti più evoluti online. Una recente ricerca, infatti, ha mostrato come in pochi mesi il 10% dei giovani svedesi ha inziato a navigare protetto dall'anonimato e il numero è in costante e forte crescita in tutta Europa.
Anche in Italia le major hanno recentemente richiesto a Telecom Italia i dati di migliaia di utentI sospettati di aver scambiato dati illegalmente. Visto il rifiuto del provider, lo hanno denunciato al tribunale di Roma facendo una istanza urgente per ottenere i dati personali degli utenti rintracciati in base al numero IP. Probabilmente, come già avvenuto nel caso Peppermint in Italia, i dati degli utenti Internet non saranno rivelati come abbiamo già spiegato, ma se il Governo italiano dovesse approvare leggi come quella francese o svedese, gli utenti sarebbero tutti rintracciabili.
Questi azioni che puntano a trasformare i provider in poliziotti della Rete spiegano perchè gli utenti si muovono sempre più verso i programmi di anonimato. Peraltro anche gli stessi browser permettono con semplici trucchi di modificare la configurazione per garantire una navigazione anonima (seppur di base). In particolar modo, Firefox lo permette di fare in modo assai facile come è spiegato in questo video tutorial.
Tornando ad Ipredator, come funziona esattamente? Il software crea un Virtual Private Network, ovvero sostituisce il numero IP di collegamento con un altro indirizzo IP anonimo che garantisce, nel caso di Pirate Bay, anche la non registrazione di qualsiasi tipo di cronologia di quello che l'utente fa online su Internet.
Nota: Webmasterpoint condanna fermamente l'utilizzo del P2P per lo scambio di file protetti dal diritto d'autore e lo streaming di file protetti da copyright. La scrittura di articoli sul P2P e lo scambio file è da ritenersi valida solo a fini strettamente informativi e non per favorire o promuovere in nessun modo l'utilizzo di scambi illecito di materiali o file online.
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Internet gratis e per tutti. Anche Bernabè di Telecom è d'accordo.
Negroponte suggerisce all'Italia di rendere Internet parte del bene pubblico: gratis e accessibile a tutti. E Bernabè, Ad di Telecom Italia, è sostanzialmente d'accordo.
Rendere le telecomunicazioni libere e gratuite. È il suggerimento rivolto all’Italia da Nicholas Negroponte, fondatore e presidente emerito del MediaLab del Massachussetts Institute of Technology (MIT) di Boston, che nei giorni scorsi ha incontrato il presidente della Camera Gianfranco Fini per sostenere la candidatura di Internet per il premio Nobel per la Pace 2010.
Se oggi, ha dichiarato Negroponte, la penetrazione della Rete in Italia non è ancora ampia, probabilmente è solo colpa della difficoltà di accesso. La cultura italiana, ha sottolineato il promotore del progetto One Laptop per Child, è estremamente adatta alle dinamiche libere di Internet.
Negroponte ha incontrato anche Franco Bernabè. L’amministratore delegato di Telecom Italia ha manifestato interesse per le tesi di Negroponte, ma ha sottolineato che, al momento, in Italia non ci sono le risorse per passare dalle parole ai fatti. Bernabè ha anche evidenziato i grossi investimenti necessari alla manutenzione della rete.
Nel corso di un intervento a un convegno dedicato alla banda larga, l’AD di Telecom Italia ha anche dichiarato che la società è disponibile a definire le condizioni tecniche ed economiche e a sottoscrivere accordi con altri operatori, compatibilmente con il rispetto della disciplina antitrust, per sperimentare operazioni di coinvestimento per la copertura di città di medie dimensioni. L’intervento pubblico, ha sottolineato Bernabé, è invece necessario nel colmare il digital divide nel portare la rete in quelle parti del paese che ne sono prive.
Nel frattempo, Telefonica ha smentito le indiscrezioni della stampa italiana sugli assetti proprietari di Telecom Italia
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Le major italiane portano Telecom in tribunale
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vogliono i nomi degli utenti P2P e l'oscuramento di centinaia di sitiArticoli di approfondimento su tematiche inerenti al mondo ICT, Internet e webmaster.
Per gentile concessione di Guido Scorza, esperto professionista di Internet e relative argomenti giuridici di cui vi invitiamo a visitare i siti http://www.politicheinnovazione.eu/ e il suo sito personale http://www.guidoscorza.it/
Il gigante della telefonia Telecom è stato trascinato in tribunale dalla Federazione contro la pirateria audiovisiva con l'appoggio della SIAE. La richiesta che viene fatta è quella di impedire l'accesso ai propri utenti ad una serie di siti internet dai quali poter usufruire illegalmente di materiale protetto da copyright.
Telecom, a questo punto - secondo la tesi della FAPAV, sostenuta dalla SIAE - sarebbe tenuta ad impedire l'accesso a tutti i propri utenti ai siti in questione e dovrebbe ritenersi corresponsabile delle condotte di pirateria audiovisiva, giacché, pur essendo stata tempestivamente informata dei pretesi illeciti in atto avrebbe omesso di informare l'autorità giudiziaria e diffidare i propri utenti dal proseguire.
La storia dunque si ripete e, quel che è peggio, l'antipirateria all'italiana sembra incapace di imparare dal passato.
Non si conoscono ancora i dettagli della vicenda e, in particolare, le modalità investigative utilizzate dalla FAPAV per acquisire i dati che le consentirebbero di affermare con certezza che centinaia di migliaia di utenti hanno scaricato determinate opere cinematografiche da altrettanto ben individuati siti internet, ma appare evidente che, quali che siano state dette modalità, ci si trova dinanzi ad un nuovo caso Peppermint.
Ancora una volta, infatti, l'industria ha ritenuto di poter arbitrariamente esercitare poteri investigativi sostituendosi all'autorità giudiziaria ed alle forze di polizia e di poter così - in un intervallo più o meno lungo di tempo - pedinare in Rete milioni di ignari cittadini lungo le autostrade dell'informazione, acquisendo, registrando, archiviando ed incrociando i dati personali di questi ultimi.
Sembra, infatti, difficile dubitare che la FAPAV per poter, oggi, agire nei confronti di Telecom, debba almeno essere in possesso degli indirizzi IP - evidentemente assegnati da Telecom - dei presunti pirati, o meglio dei titolari delle risorse di connettività utilizzate dai presunti pirati, e degli indirizzi IP di destinazione dei percorsi di navigazione di tali utenti che contraddistinguono i siti internet dei quali è stato chiesto l'oscuramento.
Si tratta, in altre parole, di una condotta probabilmente ancor più grave di quella posta in essere da Logistep nell'ormai celebre caso Peppermint: FAPAV ha, probabilmente, trattato addirittura dati relativi al percorso di navigazione degli utenti verso determinate risorse telematiche ovvero dati che gli stessi fornitori di servizi di connettività non possono trattare proprio in ragione del loro carattere "personale".
Sono, d'altro canto, mesi che si ha il sospetto che qualcosa fosse nell'aria e che FAPAV stesse preparandosi al colpo grosso.
Ad aprile dello scorso anno, infatti, Filippo Roviglioni, Presidente di FAPAV raccontava in un'intervista a Gabriele Niola pubblicata proprio su queste pagine, questo aneddoto del quale la vicenda processuale di queste ore costituisce, evidentemente l'epilogo: "Un mese fa con un software trovammo un certo numero di persone che scaricavano film e musica. Andammo dal magistrato molto contenti, con nome e cognome, il magistrato ci chiese come li avevamo ottenuti e visto che ovviamente i pirati in questione non erano consenzienti ci disse che rischiavamo di essere inquisiti per violazione della privacy. Siamo andati allora a parlare con il numero due in materia di privacy che ci ha detto solamente come condivida il nostro senso di impotenza e frustrazione".
Si tratta, d'altro canto, di dichiarazioni che lo stesso numero uno di FAPAV ribadisce in questo video del quale davo, con sorpresa, notizia in questo post del 26 maggio 2009, profeticamente intitolato "La Confessione".
Se, come appare ragionevole ritenere, i dati posti a fondamento dell'azione oggi promossa dinanzi al Tribunale di Roma sono i medesimi raccolti da FAPAV nel corso del 2009, dunque, la Federazione antipirateria era, ed è, perfettamente a conoscenza del carattere illecito dell'acquisizione dei dati utilizzati tanto da aver già incassato un diniego all'azione penale da parte della Procura della Repubblica, che anzi le avrebbe paventato il rischio di vedersi costretta ad inquisirla per trattamento illecito di dati personali, ed un parere negativo - sebbene accompagnato da una manifestazione di solidarietà - da parte dell'Ufficio del Garante della Privacy.
In tale contesto sembra agevole concludere che FAPAV ha appena promosso un'azione cautelare dinanzi al Tribunale di Roma ponendo a suo fondamento elementi di prova illegittimamente raccolti.
Se a ciò si aggiunge che, come è ormai noto, nella vicenda Logistep-Peppermint tanto il Preposto Federale per il trattamento dei dati personali svizzero che il nostro Garante per la privacy ritennero illegittima l'attività di monitoraggio di massa posta in essere dagli investigatori dell'etichetta discografica tedesca, pochi dubbi possono residuare sull'illegittimità della condotta della Federazione antipirateria audiovisiva.
È vero che il tempo rimargina le ferite ma, salvo prescrizioni, sanatorie e norme "accorcia-processi", difficilmente rende lecito ciò che è nato illecito.
Sotto tale profilo sta dunque al Tribunale di Roma - auspicabilmente previo intervento dell'Autorità Garante per il trattamento dei dati personali - decidere se, in nome di un'antipirateria sostanziale ed indiziaria, porre a fondamento di una decisione un'attività di investigazione di massa posta in essere in aperta violazione della disciplina sulla riservatezza.
Forse un pugno di autori e l'industria audiovisiva ringrazierebbe ma, così facendo, si sacrificherebbe il diritto alla privacy di milioni di cittadini e, soprattutto, si affermerebbe il principio per il quale chiunque di noi, dinanzi al sospetto di un illecito che riguarda il proprio portafoglio, può sostituirsi all'autorità di polizia ed a quella giudiziaria e dar corso a pedinamenti, perquisizioni ed intercettazioni.
La privacy, tuttavia, è solo uno dei profili dell'iniziativa della FAPAV che non convincono.
Quali sono le prove sulla cui base FAPAV sarebbe in grado di dimostrare che un certo numero di utenti Telecom avrebbero violato la disciplina sul diritto d'autore? Basta davvero un enorme foglio di calcolo con una colonna di indirizzi IP di partenza ed un'altrettanto lunga colonna di indirizzi IP di destinazione per sostenere che un cittadino o, meglio ancora, che proprio l'utente contrattualmente legato a Telecom - e non, piuttosto, un suo familiare o amico - è un pirata?
La mia sensazione, francamente, è che non sia così e non possa esserlo almeno sino a quando l'accertamento della condotta non sia compiuto da un pubblico ufficiale nel rispetto delle regole del diritto e, in ogni caso, fino a quando in Italia non sia stata varata una disciplina stile HADOPI attraverso la quale sia posto a carico di ogni titolare di risorse di connettività un obbligo di custodia relativo a tali risorse.
La verità è che, allo stato, FAPAV - come peraltro sembrerebbe esserle già stato fatto presente dalla procura della repubblica di Roma nell'aprile scorso - non è in condizione di provare assolutamente nulla. Niente prova, niente provvedimento, dunque.
Ma andiamo avanti perché la circostanza che FAPAV, allo stato, non sia in grado di provare alcunché in ordine all'imputabilità agli utenti Telecom di una condotta illecita, porta con sé un'ulteriore importante conseguenza. Telecom, ricevuta la diffida di FAPAV, non aveva alcun obbligo di fare alcunché perché non si può pretendere che sia sufficiente ipotizzare una violazione di un proprio diritto per pretendere che un intermediario si adoperi per segnalare un illecito che magari non esiste ad un'autorità giudiziaria o, piuttosto, per diffidare un utente che, magari, ha semplicemente subito un furto di risorse di connettività.
A prescindere poi da tutta una serie di altre considerazioni relative alla disciplina degli intermediari della comunicazione che - cavalcando l'onda lunga della decisione The Pirate Bay e Mediaset c. YouTube - la FAPAV pretenderebbe di travolgere, sembra opportuno formulare un'ultima considerazione sul contenuto del provvedimento richiesto al giudice: l'oscuramento di tutta una serie di siti internet dai quali sarebbero stati scaricati anche taluni film.
È, evidentemente, un provvedimento sproporzionato e privo di qualsivoglia fondamento giuridico.
Il titolare dei diritti, infatti - a prescindere da ogni altra considerazione - può, a tutto voler concedere, esigere che l'autorità giudiziaria ordini all'intermediario di adottare i provvedimenti necessari ad interrompere la prosecuzione della specifica violazione contestata - e dunque l'inibitoria all'accesso ad una singola URL che contraddistingua un determinato contenuto.
Ma non può, in alcun caso - tanto più senza neppure convenire in giudizio i titolari dei siti in questione - esigere l'oscuramento di un'intera piattaforma di comunicazione elettronica, determinando così, di fatto, la cessazione dell'altrui attività di impresa ed una forte restrizione dell'altrui esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.
Un simile provvedimento non è contemplato in alcuna norma di legge, e se lo fosse la relativa norma sarebbe in evidente contrasto con gli articoli 21 e 41 della Costituzione per violazione della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di impresa
FONTE -
http://www.webmasterpoint.org
The Pirate Bay lancia Ipredator, un nuovo software che garantisce l'anonimato in Rete dell'utente sia quando naviga su Internet che quando utilizza sistemi di scambio file o di streaming video. Finora il programma era in versione di test limitata, ora è disponibile da scaricare per tutti al costo di 5 euro al mese.
La risposta del famoso sito P2P svedese ha un valore anche e soprattutto politico rispondendo in questo modo alle varie leggi europee che mirano a contrastare lo scambio illecito di file basate principalmente sulla direttiva europea Ipred. Secondo questa normativa, approvata anche in Svezia, i proprietari dei diritti d'autore possono richiedere ai provider Internet di fornire i dati personali degli utenti che presubilmente in base all'intercettazione online del numero IP usano sistemi come BitTorrent, eMule o altri similari.
È da sottolineare che i programmi che garantiscono l'anonimato in rete sono sempre più diffusi soprattutto tra i giovani, che rappresentano spesso gli utenti più evoluti online. Una recente ricerca, infatti, ha mostrato come in pochi mesi il 10% dei giovani svedesi ha inziato a navigare protetto dall'anonimato e il numero è in costante e forte crescita in tutta Europa.
Anche in Italia le major hanno recentemente richiesto a Telecom Italia i dati di migliaia di utentI sospettati di aver scambiato dati illegalmente. Visto il rifiuto del provider, lo hanno denunciato al tribunale di Roma facendo una istanza urgente per ottenere i dati personali degli utenti rintracciati in base al numero IP. Probabilmente, come già avvenuto nel caso Peppermint in Italia, i dati degli utenti Internet non saranno rivelati come abbiamo già spiegato, ma se il Governo italiano dovesse approvare leggi come quella francese o svedese, gli utenti sarebbero tutti rintracciabili.
Questi azioni che puntano a trasformare i provider in poliziotti della Rete spiegano perchè gli utenti si muovono sempre più verso i programmi di anonimato. Peraltro anche gli stessi browser permettono con semplici trucchi di modificare la configurazione per garantire una navigazione anonima (seppur di base). In particolar modo, Firefox lo permette di fare in modo assai facile come è spiegato in questo video tutorial.
Tornando ad Ipredator, come funziona esattamente? Il software crea un Virtual Private Network, ovvero sostituisce il numero IP di collegamento con un altro indirizzo IP anonimo che garantisce, nel caso di Pirate Bay, anche la non registrazione di qualsiasi tipo di cronologia di quello che l'utente fa online su Internet.
Nota: Webmasterpoint condanna fermamente l'utilizzo del P2P per lo scambio di file protetti dal diritto d'autore e lo streaming di file protetti da copyright. La scrittura di articoli sul P2P e lo scambio file è da ritenersi valida solo a fini strettamente informativi e non per favorire o promuovere in nessun modo l'utilizzo di scambi illecito di materiali o file online.
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Internet gratis e per tutti. Anche Bernabè di Telecom è d'accordo.
Negroponte suggerisce all'Italia di rendere Internet parte del bene pubblico: gratis e accessibile a tutti. E Bernabè, Ad di Telecom Italia, è sostanzialmente d'accordo.
Rendere le telecomunicazioni libere e gratuite. È il suggerimento rivolto all’Italia da Nicholas Negroponte, fondatore e presidente emerito del MediaLab del Massachussetts Institute of Technology (MIT) di Boston, che nei giorni scorsi ha incontrato il presidente della Camera Gianfranco Fini per sostenere la candidatura di Internet per il premio Nobel per la Pace 2010.
Se oggi, ha dichiarato Negroponte, la penetrazione della Rete in Italia non è ancora ampia, probabilmente è solo colpa della difficoltà di accesso. La cultura italiana, ha sottolineato il promotore del progetto One Laptop per Child, è estremamente adatta alle dinamiche libere di Internet.
Negroponte ha incontrato anche Franco Bernabè. L’amministratore delegato di Telecom Italia ha manifestato interesse per le tesi di Negroponte, ma ha sottolineato che, al momento, in Italia non ci sono le risorse per passare dalle parole ai fatti. Bernabè ha anche evidenziato i grossi investimenti necessari alla manutenzione della rete.
Nel corso di un intervento a un convegno dedicato alla banda larga, l’AD di Telecom Italia ha anche dichiarato che la società è disponibile a definire le condizioni tecniche ed economiche e a sottoscrivere accordi con altri operatori, compatibilmente con il rispetto della disciplina antitrust, per sperimentare operazioni di coinvestimento per la copertura di città di medie dimensioni. L’intervento pubblico, ha sottolineato Bernabé, è invece necessario nel colmare il digital divide nel portare la rete in quelle parti del paese che ne sono prive.
Nel frattempo, Telefonica ha smentito le indiscrezioni della stampa italiana sugli assetti proprietari di Telecom Italia
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Le major italiane portano Telecom in tribunale
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vogliono i nomi degli utenti P2P e l'oscuramento di centinaia di sitiArticoli di approfondimento su tematiche inerenti al mondo ICT, Internet e webmaster.
Per gentile concessione di Guido Scorza, esperto professionista di Internet e relative argomenti giuridici di cui vi invitiamo a visitare i siti http://www.politicheinnovazione.eu/ e il suo sito personale http://www.guidoscorza.it/
Il gigante della telefonia Telecom è stato trascinato in tribunale dalla Federazione contro la pirateria audiovisiva con l'appoggio della SIAE. La richiesta che viene fatta è quella di impedire l'accesso ai propri utenti ad una serie di siti internet dai quali poter usufruire illegalmente di materiale protetto da copyright.
Telecom, a questo punto - secondo la tesi della FAPAV, sostenuta dalla SIAE - sarebbe tenuta ad impedire l'accesso a tutti i propri utenti ai siti in questione e dovrebbe ritenersi corresponsabile delle condotte di pirateria audiovisiva, giacché, pur essendo stata tempestivamente informata dei pretesi illeciti in atto avrebbe omesso di informare l'autorità giudiziaria e diffidare i propri utenti dal proseguire.
La storia dunque si ripete e, quel che è peggio, l'antipirateria all'italiana sembra incapace di imparare dal passato.
Non si conoscono ancora i dettagli della vicenda e, in particolare, le modalità investigative utilizzate dalla FAPAV per acquisire i dati che le consentirebbero di affermare con certezza che centinaia di migliaia di utenti hanno scaricato determinate opere cinematografiche da altrettanto ben individuati siti internet, ma appare evidente che, quali che siano state dette modalità, ci si trova dinanzi ad un nuovo caso Peppermint.
Ancora una volta, infatti, l'industria ha ritenuto di poter arbitrariamente esercitare poteri investigativi sostituendosi all'autorità giudiziaria ed alle forze di polizia e di poter così - in un intervallo più o meno lungo di tempo - pedinare in Rete milioni di ignari cittadini lungo le autostrade dell'informazione, acquisendo, registrando, archiviando ed incrociando i dati personali di questi ultimi.
Sembra, infatti, difficile dubitare che la FAPAV per poter, oggi, agire nei confronti di Telecom, debba almeno essere in possesso degli indirizzi IP - evidentemente assegnati da Telecom - dei presunti pirati, o meglio dei titolari delle risorse di connettività utilizzate dai presunti pirati, e degli indirizzi IP di destinazione dei percorsi di navigazione di tali utenti che contraddistinguono i siti internet dei quali è stato chiesto l'oscuramento.
Si tratta, in altre parole, di una condotta probabilmente ancor più grave di quella posta in essere da Logistep nell'ormai celebre caso Peppermint: FAPAV ha, probabilmente, trattato addirittura dati relativi al percorso di navigazione degli utenti verso determinate risorse telematiche ovvero dati che gli stessi fornitori di servizi di connettività non possono trattare proprio in ragione del loro carattere "personale".
Sono, d'altro canto, mesi che si ha il sospetto che qualcosa fosse nell'aria e che FAPAV stesse preparandosi al colpo grosso.
Ad aprile dello scorso anno, infatti, Filippo Roviglioni, Presidente di FAPAV raccontava in un'intervista a Gabriele Niola pubblicata proprio su queste pagine, questo aneddoto del quale la vicenda processuale di queste ore costituisce, evidentemente l'epilogo: "Un mese fa con un software trovammo un certo numero di persone che scaricavano film e musica. Andammo dal magistrato molto contenti, con nome e cognome, il magistrato ci chiese come li avevamo ottenuti e visto che ovviamente i pirati in questione non erano consenzienti ci disse che rischiavamo di essere inquisiti per violazione della privacy. Siamo andati allora a parlare con il numero due in materia di privacy che ci ha detto solamente come condivida il nostro senso di impotenza e frustrazione".
Si tratta, d'altro canto, di dichiarazioni che lo stesso numero uno di FAPAV ribadisce in questo video del quale davo, con sorpresa, notizia in questo post del 26 maggio 2009, profeticamente intitolato "La Confessione".
Se, come appare ragionevole ritenere, i dati posti a fondamento dell'azione oggi promossa dinanzi al Tribunale di Roma sono i medesimi raccolti da FAPAV nel corso del 2009, dunque, la Federazione antipirateria era, ed è, perfettamente a conoscenza del carattere illecito dell'acquisizione dei dati utilizzati tanto da aver già incassato un diniego all'azione penale da parte della Procura della Repubblica, che anzi le avrebbe paventato il rischio di vedersi costretta ad inquisirla per trattamento illecito di dati personali, ed un parere negativo - sebbene accompagnato da una manifestazione di solidarietà - da parte dell'Ufficio del Garante della Privacy.
In tale contesto sembra agevole concludere che FAPAV ha appena promosso un'azione cautelare dinanzi al Tribunale di Roma ponendo a suo fondamento elementi di prova illegittimamente raccolti.
Se a ciò si aggiunge che, come è ormai noto, nella vicenda Logistep-Peppermint tanto il Preposto Federale per il trattamento dei dati personali svizzero che il nostro Garante per la privacy ritennero illegittima l'attività di monitoraggio di massa posta in essere dagli investigatori dell'etichetta discografica tedesca, pochi dubbi possono residuare sull'illegittimità della condotta della Federazione antipirateria audiovisiva.
È vero che il tempo rimargina le ferite ma, salvo prescrizioni, sanatorie e norme "accorcia-processi", difficilmente rende lecito ciò che è nato illecito.
Sotto tale profilo sta dunque al Tribunale di Roma - auspicabilmente previo intervento dell'Autorità Garante per il trattamento dei dati personali - decidere se, in nome di un'antipirateria sostanziale ed indiziaria, porre a fondamento di una decisione un'attività di investigazione di massa posta in essere in aperta violazione della disciplina sulla riservatezza.
Forse un pugno di autori e l'industria audiovisiva ringrazierebbe ma, così facendo, si sacrificherebbe il diritto alla privacy di milioni di cittadini e, soprattutto, si affermerebbe il principio per il quale chiunque di noi, dinanzi al sospetto di un illecito che riguarda il proprio portafoglio, può sostituirsi all'autorità di polizia ed a quella giudiziaria e dar corso a pedinamenti, perquisizioni ed intercettazioni.
La privacy, tuttavia, è solo uno dei profili dell'iniziativa della FAPAV che non convincono.
Quali sono le prove sulla cui base FAPAV sarebbe in grado di dimostrare che un certo numero di utenti Telecom avrebbero violato la disciplina sul diritto d'autore? Basta davvero un enorme foglio di calcolo con una colonna di indirizzi IP di partenza ed un'altrettanto lunga colonna di indirizzi IP di destinazione per sostenere che un cittadino o, meglio ancora, che proprio l'utente contrattualmente legato a Telecom - e non, piuttosto, un suo familiare o amico - è un pirata?
La mia sensazione, francamente, è che non sia così e non possa esserlo almeno sino a quando l'accertamento della condotta non sia compiuto da un pubblico ufficiale nel rispetto delle regole del diritto e, in ogni caso, fino a quando in Italia non sia stata varata una disciplina stile HADOPI attraverso la quale sia posto a carico di ogni titolare di risorse di connettività un obbligo di custodia relativo a tali risorse.
La verità è che, allo stato, FAPAV - come peraltro sembrerebbe esserle già stato fatto presente dalla procura della repubblica di Roma nell'aprile scorso - non è in condizione di provare assolutamente nulla. Niente prova, niente provvedimento, dunque.
Ma andiamo avanti perché la circostanza che FAPAV, allo stato, non sia in grado di provare alcunché in ordine all'imputabilità agli utenti Telecom di una condotta illecita, porta con sé un'ulteriore importante conseguenza. Telecom, ricevuta la diffida di FAPAV, non aveva alcun obbligo di fare alcunché perché non si può pretendere che sia sufficiente ipotizzare una violazione di un proprio diritto per pretendere che un intermediario si adoperi per segnalare un illecito che magari non esiste ad un'autorità giudiziaria o, piuttosto, per diffidare un utente che, magari, ha semplicemente subito un furto di risorse di connettività.
A prescindere poi da tutta una serie di altre considerazioni relative alla disciplina degli intermediari della comunicazione che - cavalcando l'onda lunga della decisione The Pirate Bay e Mediaset c. YouTube - la FAPAV pretenderebbe di travolgere, sembra opportuno formulare un'ultima considerazione sul contenuto del provvedimento richiesto al giudice: l'oscuramento di tutta una serie di siti internet dai quali sarebbero stati scaricati anche taluni film.
È, evidentemente, un provvedimento sproporzionato e privo di qualsivoglia fondamento giuridico.
Il titolare dei diritti, infatti - a prescindere da ogni altra considerazione - può, a tutto voler concedere, esigere che l'autorità giudiziaria ordini all'intermediario di adottare i provvedimenti necessari ad interrompere la prosecuzione della specifica violazione contestata - e dunque l'inibitoria all'accesso ad una singola URL che contraddistingua un determinato contenuto.
Ma non può, in alcun caso - tanto più senza neppure convenire in giudizio i titolari dei siti in questione - esigere l'oscuramento di un'intera piattaforma di comunicazione elettronica, determinando così, di fatto, la cessazione dell'altrui attività di impresa ed una forte restrizione dell'altrui esercizio della libertà di manifestazione del pensiero.
Un simile provvedimento non è contemplato in alcuna norma di legge, e se lo fosse la relativa norma sarebbe in evidente contrasto con gli articoli 21 e 41 della Costituzione per violazione della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di impresa
FONTE -
http://www.webmasterpoint.org
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