La fondazione di Troia
Nell’isola di Samotracia, nacquero due fratelli a seguito dell’unione fra il grande Zeus e la figlia del titano Atlante, Elettra. I due si chiamavano Iasone e Dardano.
Una volta cresciuti, ai due sarebbero spettate grandi imprese se non fosse stato che Iasone si innamorò perdutamente di Demetra, la quale però non ricambiava il sentimento. Adirato, l’uomo tentò di violentare la dea, ma Zeus intervenne tempestivamente e uccise Iasone con una potente folgore.
Addolorato per la perdita del fratello, Dardano decise di lasciare Samotracia, si dice anche a causa del Diluvio Universale che devastò quei luoghi, per poi approdare in Asia, nella regione di Teucra, dove regnava re Teucro, figlio del fiume Scamandro.
Dardano ricevette generosa ospitalità dal re, e tra i due nacque una sincera amicizia, al punto che Teucro gli concesse anche la mano di sua figlia, Batea, e gli diede anche una parte del territorio da governare, poiché non avendo figli maschi lo aveva designato come suo successore. Alla sua morte, infatti, Dardano divenne il re di quella regione che prese da lui il nome: Dardania.
Batea diede al marito dei figli che chiamarono Ilo ed Eritttonio, ma il primo morì senza avere dato alla luce degli eredi, mentre il secondo prese in sposa Astioche e, alla morte di Dardano, gli succedette al trono. Con la moglie generò il figlio Troo, il quale, una volta succeduto a sua volta al padre , ereditò il dominio di quella regione e, come fecero i suoi predecessori prima di lui, ne rinominò una parte con il suo nome, che da quel momento sarebbe stata conosciuta come “Troade”.
Nel frattempo, Troo ebbe da sua moglie, Calliore, tre figli: Ilo (da non confondere con l'altro), Assaraco, e Ganimede. Quest’ultimo crebbe e divenne bello come nessuno avrebbe mai sognato di diventare, al punto che lo stesso Zeus se ne invaghì e, tramutato in aquila, lo rapì per farne il suo coppiere sul Monte Olimpo, donandogli l’immortalità e l’eterna giovinezza. Per rassicurare Troo, preoccupato poichè non aveva più avuto notizie del figlio scomparso, Zeus mandò Ermes per comunicare al re quanto accaduto, rassicurandolo sul fatto che suo figlio avrebbe vissuto in eterno tra i Numi immortali. Come pegno, Zeus donò a Troo una coppia di cavalli immortali ed un trancio di vite d’oro.
Gli altri due figli del re, Assaraco e Ilo, si sposarono e le loro mogli diedero ai rispettivi mariti un figlio ciascuna: Assaraco ebbe Capis e Ilo ebbe Temiste, e questi figli si sarebbero a loro volta uniti tra loro per poi generare un bambino che sarebbe diventato uno degli uomini più famosi del suo tempo, poiché avrebbe goduto dell’amore della meravigliosa Afrodite. L’uomo si chiamava Anchise, e il figlio che sarebbe nato dalla dea venne chiamato Enea, futuro capostipite di una civiltà secolare.
Alla morte di Troo, Assaraco ereditò il dominio della Dardania, mentre Ilo decise di trasferirsi in Frigia, dove lì avrebbe partecipato ai giochi organizzati dal re del luogo, vincendo la gara di lotta. Come premio, il sovrano gli diede cinquanta fanciulli e cinquanta fanciulle e, seguendo i consigli di un oracolo, gli donò anche una vacca pezzata e disse ad Ilo di seguirla finché non si fosse sdraiata. In quel punto avrebbe dovuto fondare una nuova città.
L’animale arrivò sulla collina dedicata alla dea Ate e li si fermò, designando quel luogo per la fondazione della nuova città che avrebbe preso sia il nome del suo capostipite sia quello di suo padre: alcuni la chiamavano “Ilio”, mentre altri “Troia”.
Mentre tracciava i confini della neonata città, Ilo invocò Zeus e gli chiese un segno di approvazione e benevolenza, così il giorno dopo, al suo risveglio, trovò davanti alla sua tenda una statua di legno alta tre cubiti e con le gambe unite; nella mano destra aveva una lancia, nella sinistra una rocca e un fuso e il petto era coperto dall’egida. Questo oggetto sacro era il Palladio, il simulacro di Pallade Atena, e finché fosse rimasto nel tempio della dea, la città in cui si trovava non sarebbe mai potuta cadere né venire conquistata da alcun esercito.
~ Correggio, "Il Ratto di Ganimede", 1531-32 ~
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