Tant’è
Di Piero Sestili, Professore Ordinario di Farmacologia, Università Carlo Bo, Urbino
Il meccanico: “Io l’olio nella mia auto non lo cambio, perché non credo che poi il motore grippi...”
Il poliziotto: “Non indagherò su queste persone, perché secondo me è meglio lasciar correre. Quando qualcuno me ne dimostrerà l’utilità, forse lo faró”.
Il bancario: “Sí signora, lei depositi pure i suoi soldi qui da noi...io però i miei non li metto certo in banca...”
Il giardiniere: “No, il prato non lo taglio, perché non mi piace...”.
Ora, quanti di voi si fiderebbero di queste persone? Temo nessuno. La prima cosa che vi verrebbe in mente sarebbe “ma perché non cambiamo mestiere?”. La seconda: “ ma ci sono, o ci fanno?”.
Ecco, quando sento e leggo di medici o infermieri che non vogliono vaccinarsi, o esprimono pubblicamente i loro dubbi appellandosi a molteplici motivazioni, tutte accomunate però dall’essere scientificamente deboli se non strampalate, mi domando: “ma ci sono o ci fanno?”.
Visto che si da per scontato che per laurearsi abbiano frequentato corsi di chimica, biologia, biochimica, fisiologia, patologia generale, microbiologia, farmacologia, statistica medica e superato questi esami di profitto ci si domanda: come hanno potuto dedicarsi a discipline nelle quali, evidentemente, nutrono scarsa fiducia? Perché dei professionisti con un curriculum di studi così specifico non riconoscono il valore conclamato della vaccinazione? Perché debbono, anziché farsene promotori, instillare dubbi (o addirittura paure) nei loro pazienti e nell’opinione pubblica? Se ne avverte il bisogno?
Lasciamo stare il fatto che un professionista della salute non vaccinato non dovrebbe poter esercitare, perché questa è materia del legislatore. Non avventuriamoci in un complesso tema etico e giuslavoristico. Qualcuno se ne occuperà.
Qui si vuole più semplicemente ragionare su questo aspetto: se non ci fidiamo del bancario, meccanico, giardiniere e poliziotto di cui sopra, tanto da rivolgerci ad altri in caso di bisogno, perché non fare la stessa cosa coi sanitari che obiettano - peggio se pubblicamente - sui vaccini e sulla vaccinazione? Ritiriamo loro la nostra fiducia, o quantomeno sospendiamola pro tempore, fino a ravvedimento. Esercitare una professione, infatti, non significa solo indossare un camice o una toga.
Significa adottare in pieno una Disciplina Professionale ed improntare la propria vita ai suoi valori e fondamenti.
Significa seguire un codice deontologico.
C’è una responsabilità culturale in ciò, direi un mandato formativo verso gli altri, e un vincolo di rispetto verso i colleghi nell’adottare comportamenti che non vadano a minare la credibilità della propria professione e dell’ente per cui lavorano.
Come valutereste l’esempio di un magistrato che non rispetta i limiti di velocità in autostrada perché ritiene meno pericoloso viaggiare ad andatura più spedita? Direste che fa il contrario di ciò per cui è pagato. E che sta dando un pessimo esempio e dipingendo una pessima immagine della categoria.
Un professionista della salute, non può adottare i comportamenti che “crede” sui vaccini. Non può nutrire dubbi oggi sull’anti-COVID-19 (a prescindere dal produttore), quando centinaia e centinaia di studi ne stanno comprovando l’efficacia e l’eccellente rapporto rischi/benefici. Non può, semplicemente non può, e questa affermazione oggi non è più scientificamente argomentabile.
Per noi il medico, l’infermiere, l’operatore sanitario non può obiettare sulla vaccinazione. Nel farlo, infatti, è come se denunciasse di non avere le basi scientifiche della sua professione. Dunque, se vuole farlo, libero, ma cambi mestiere. Faccia altro.
Noi non possiamo obbligare nessuno a fare altro, ma possiamo benissimo rivolgerci altrove, come faremmo col bancario, il giardiniere ecc. ecc. Un’ultima considerazione su quello che abbiamo chiamato “mandato formativo” (leggi dare l'esempio atteso).
Chi ha dedicato la propria vita al mandato formativo sono i docenti: da docente a docente, ci pensino almeno due volte prima di assumere posizioni strampalate sulla vaccinazione anti-Covid-19, perché da un lato dovrebbero possedere gli strumenti culturali per non abbandonarsi alle motivazioni meno autorevoli, dall’altro perché la loro “presa” sugli studenti è superiore a quella di qualunque altra categoria. Hanno una responsabilità, come i sanitari, che non si esaurisce nella propria sfera personale.
E, come dai sanitari, da loro la società si aspetta chiarezza e coerenza.
Tant’è.
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