mito fondante di origine greca, su cui poi Ovidio (43 a. C. – 18) nelle sue Metamorfosi (Metamorphoseon, in quindici libri), e altri ancora nei secoli successivi ....
Mito di Alcione
Una spaventosa carestia minacciava il popolo di Trascina. Ogni estate, quando le messi biondeggiavano nei campi e i frutti maturi curvavano i rami degli alberi, nottetempo, turbe innumerevoli di cinghiali, come piovuti dal cielo, si abbattevano furiosamente sulle distese coltivate distruggendo ogni cosa.
Alcione era fortemente turbata perché sapeva di essere lei la cagione di tanta sciagura, avendo attirato su di sé e sul suo popolo l'ira di Diana, la dea cacciatrice.
Una mattina, durante una passeggiata nel bosco, dopo essersi tuffata nelle acque limpide di un lago, la giovane si era distesa sull'erba soffice per asciugarsi al sole. La sua bellezza, l'armonia del suo corpo, la sua grazia le attirarono attorno i numerosi abitatori del bosco, ninfe, naiadi, gnomi che, avendola scambiata per Diana, le offrirono fiori e frutti. Cantarono per lei cori di lodi e improvvisarono danze mentre si dicevano pronti a recare ai suoi piedi tutte le belve ammansite e tutti gli uccelli variopinti della foresta.
Alcione fu presa da una tale vanità che accettò gli elogi senza rivelare chi fosse veramente. Anzi, quando preceduta dai cani e dai suoni dei corni apparve davvero la dea Diana, ella non volle chiarire l'equivoco, non volle ritirarsi nell'ombra. Diana ebbe un bel gridare all'inganno, nessuno le credette.
Da quel momento l'ira della dea fu implacabile. Invocò gli altri dei e ottenne che una grandinata furiosa si abbattesse sulla foresta mettendo in fuga Alcione. Sciolse al cinghiale il guinzaglio che lo teneva avvinto e l'animale si moltiplicò in migliaia di altri esemplari del suo stesso pelo e della sua stessa ferocia; in breve tutti i campi del regno furono distrutti.
La sciagura si ripeteva ogni anno. Come si poteva placare l'ira della dea? Era questo l'interrogativo che Ceice, sposo di Alcione, era andato a porre all'oracolo di Apollo che rispondeva da una rupe dello scoglio di Claro. Erano passati tre mesi dal giorno in cui Ceice aveva intrapreso il rischioso viaggio e Alcione non aveva avuto di lui alcuna notizia.
Quella notte la tempesta che stava per abbattersi sul mare le impediva di addormentarsi e, quando alfine vi riuscì, fu ancor peggio. Nel sonno, insieme a tante altre immagini angosciose, le apparve un messaggero alato, Morfeo, che le annunziò la morte del marito avvenuta tra le onde durante la traversata.
Alcione si svegliò di soprassalto, si alzò in piedi, corse al mare, salì sullo scoglio più alto per scrutare lontano.
Ad un tratto le parve di veder galleggiare un corpo.
Non ebbe dubbi: le onde le restituivano il cadavere dello sposo diletto.
Disperata, la donna si gettò in mare. In quello stesso momento Giove, stanco delle vendette di Diana, si mosse a pietà e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell'aria. Come per incanto spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa.
Così nacquero nel mondo gli alcioni, che ebbero il privilegio di fare il nido sulle stesse onde del mare. Ogni qualvolta essi depongono le uova sulla superficie marina, nessuna tempesta osa turbare o agitare le acque.
Gli alcioni sono perciò simbolo della tranquillità degli oceani.
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Trachine, la terra della Malide dove viveva Alcione, figlia di Egiale e Eolo (il custode dei venti) stava soffrendo una tremenda carestia. Orde di cinghiali, che sembravano generati dalla terra stessa, in estate calpestavano le bionde messi e scuotevano gli alberi carichi di frutti; ogni cosa sembrava perire.
Ma oltre alle privazioni della sua gente, Alcione aveva un tormento in più, perché in cuor suo sapeva di essere lei stessa la causa di tali disgrazie.
Una mattina di qualche tempo prima aveva suscitato l’ira di Artemide, la Dea cacciatrice, perché nel bosco, dopo essersi bagnata nelle acque di un lago, si era distesa morbida e sinuosa sulle sue rive, ricevendo gli omaggi delle creature del bosco, naiadi, fauni e ninfe che così bella l’avevano scambiata per la Dea stessa; né lei si era sottratta all’equivoco.
Oppure la sua colpa poteva essere un’altra. Nel rapporto con il suo bellissimo marito Ceìce, figlio di Lucifero, l’astro del mattino, l’aveva chiamato Zeus e lei stessa si era paragonata a Era (*).
Ma quale che ne fosse la causa, gli Dei erano irati e ora la carestia minacciava il suo popolo e ogni anno si ripeteva.
Fu così che Ceìce decise di partire per interpellare l’oracolo di Apollo che rispondeva da una rupe dello scoglio di Claro, per chiedere se ci fosse un rimedio a quella calamità.
Da tre mesi era partito, Ceìce, e la moglie non aveva ricevuto notizia alcuna. Una notte mentre una tempesta flagellava il mare e Alcione si dibatteva in un sonno agitato, Morfeo, il dio del sonno le apparve con le sembianze di Ceìce, e le annunciò la sua morte tra le onde
Angosciata Alcione si riscosse dal sonno, raggiunse la riva del mare e scrutando tra le onde le sembrò di vedere qualcosa galleggiare tra i flutti tempestosi. Ben presto ne fu certa: il mare le rigettava il corpo nudo e freddo del suo sposo.
Sopraffatta dal dolore Alcione si gettò tra le onde, ma non le raggiunse; gli dei per una volta misericordiosi, le donarono un paio di ali con le quali si librò al di sopra dei marosi. Due ali comparvero anche sul corpo galleggiante di Ceìce, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposo
La metamorfosi di Alcione
Tramutati entrambi in uccelli fanno il nido in riva al mare e nel periodo della cova una settimana prima e una dopo il solstizio d’inverno, Eolo cheta i venti perché le onde non abbiano a portarle via.
Gli alcioni sono perciò simbolo della tranquillità del mare.
(*) La colpa di Alcione. Nella versione di Ovidio viene eliminata ogni forma di colpevolezza dalla loro storia, rendendo sia Alcione che Ceìce vittime innocenti del destino.
Anche la metamorfosi di Ceìce si compie con un diverso tipo di uccello; in uno smergo, specie di grossa anatra marina.
Così l’epilogo del poeta romano nelle Metamorfosi (estratto):
(…) Quando poi raggiunse il corpo muto ed esangue, abbracciando quelle care membra con le sue nuove ali, vanamente col duro becco le coprì di freddi baci.
Sentì Ceìce quei baci o fu solo per l’ondeggiare del mare se parve che sollevasse il viso? la gente non sa dirlo.
Ma lui li sentì, e alla fine, per pietosa grazia degli dei, si mutarono entrambi in uccelli. Il loro amore rimase, legandoli al medesimo destino, e il patto nuziale fra loro, ormai uccelli, non si sciolse. Si accoppiano, generano, e per sette sereni giorni, nella stagione invernale.
Alcione cova in un nido a picco sull’acqua.
Allora si placa l’onda del mare: Eolo rinchiude i suoi venti e non li lascia uscire, per offrire bonaccia ai nipoti.
Un vecchio, guardandoli volare insieme sulla distesa del mare, loda quell’amore serbato sino alla fine (…)
(*) Il Mito di Alcione – Liberamente sintetizzato con elementi ripresi:
– da Robert Graves (1963, Greek Myths; “I Miti greci” – XIII Ed. Il Cammeo 2009 – Longanesi ed. pp 1446 e segg.)
– da ‘Le Metamorfosi’ di Publio Ovidio Nasone: Libro XI
– dal web: wikipedia
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