𝐌𝐄𝐒𝐒𝐀𝐋𝐈𝐍𝐀, 𝐋𝐀 𝐕𝐄𝐍𝐄𝐑𝐄 𝐈𝐌𝐏𝐄𝐑𝐀𝐓𝐑𝐈𝐂𝐄...
Meravigliosamente bella, seducente e sensuale. Questa era Valeria Messalina, figlia di Marco Messalla Barbato e di Domizia Lepida, entrambi imparentati con Ottavia, sorella di Augusto. Nel 39, quattordicenne, l'avvenente Messalina andò sposa a Claudio, di trent'anni più anziano di lei, fratello del grande Germanico e zio dell'imperatore Caligola.
Un matrimonio male assortito tra una ragazza piena di vita e nel fiore degli anni e un uomo pavido, noto a corte per la sua "presunta" scarsa intelligenza, inoltre claudicante e balbuziente. Nel 41, morto Caligola per mano dei pretoriani, un tremante Claudio, scoperto nascosto dietro una tenda, venne acclamato imperatore dai soldati. In un giorno, la vita di Messalina cambiò; divenne la donna più adulata e libera dell'Impero.
Claudio non fu un pessimo imperatore, anzi brillò per un certo talento amministrativo. La sua colpa (o merito secondo alcuni) fu quella di circondarsi di liberti. In breve tempo, figuri quali Callisto, Pallante, Polibio e Pallante divennero delle vere e proprie potenze di corte: uomini ricchi, scaltri e pericolosi. E come tali videro in Messalina la migliore delle alleate.
L'imperatore mancava di grinta, attratto dal cibo, dagli spettacoli gladiatori e soprattutto dalle donne. Adorava Messalina, così bella e florida, e le permise di tutto. Tacito, Dione Cassio, Svetonio e il pettegolo Giovenale la descrivono come un mostro di lussuria. Capricciosa ed egocentrica lo fu di sicuro, anche crudele, ma per quanto riguarda le sue irrefrenabili smanie sessuali forse bisognerebbe andarci con i piedi di piombo.
Messalina, evidentemente sobillata dai liberti, temeva di perdere i suoi privilegi. Riuscì a liberarsi di Giulia Livilla, nipote di Claudio e sorella di Caligola, facendola accusare di adulterio con Seneca. Fece uccidere Appio Silano, reo di averla rifiutata, un uomo che Claudio aveva fatto sposare con sua madre Lepida, tenendolo in grande considerazione. Costrinse al suicidio la bella Poppea Sabina perché era stata amante di un certo Mnestere, un istrione entrato nelle sue grazie.
Tralasciando le leggende che raccontano di una Messalina "impegnata" nei lupanari col nome di Licisca, dobbiamo però considerare che l'imperatrice compì diversi adulteri (e uguale fece Claudio), trasformando la corte in una sorta di perenne baccanale. Tutto perdurò fino al 47, quando la giovane si innamorò perdutamente di Gaio Silio.
Descritto da Tacito come "il più bel giovane di Roma", Silio, figlio dell'omonimo e fidato luogotenente di Germanico, era un politico in piena ascesa. Cadde tra le braccia di Messalina e per lei ripudiò la moglie. Nel 48, da console designato per il 49, si trovò in una situazione delicata. Tutti sapevano della sua relazione "imperiale" tranne l'imperatore. Temeva l'ira di Messalina qualora si fosse sottratto a lei, dunque tentò la carta della congiura per divenire egli stesso imperatore.
Si spiega in quest'ottica il faraonico matrimonio celebrato agli Horti Luculliani tra Messalina e Silio con tanto di promessa di adottare il principe Britannico, figlio di lei e futuro successore al trono. Le nozze con probabile congiura misero alle corde anche i liberti di corte. Pallante, Narciso e Callisto temerono la loro fine. Tutta la loro ricca esistenza dipendeva all'indolenza di Claudio lo zoppo. Agirono rinnegando la vecchia alleata.
Claudio stava ad Ostia. Fu avvisato e tornò di corsa a Roma. Gaio Silio ed altri furono arrestati e condotti alla sua presenza. Con dignità accettarono la morte. Narciso sapeva che sarebbe bastata una sola notte di Messalina con Claudio per far cambiare idea al debole imperatore. Rischiò tutto ordinando l'uccisione della donna.
Nel dipinto di Victor Francois Eloi Biennoury, gli ultimi istanti di vita di Messalina. Raggiunta agli Horti Luculliani dagli uomini di Narciso, è ingiuriata dal liberto Evodo mentre un tribuno sguaina la spada. La madre di lei, Domizia Lepida, tenta invano una mediazione. Messalina, disperata, estrae un coltello per uccidersi ma non fa in tempo. Il tribuno la trafigge, urlando trionfo: «Se la tua morte sarà pianta da tutti i tuoi amanti, allora piangerà mezza Roma!».... Su Messalina cadde la "damnatio memoriae".


Valeria Messalina n.25 d.C.-m.48 d.C.
Se c’è un personaggio la cui memoria gli «storici» hanno oltraggiato a volontà, questo è Valeria Messalina, uccisa a ventidue anni.
Dal 11 secolo, sotto Traiano, per celebrare le virtù della nuova dinastia a1mperiale e, gli storici si sentirono in obbligo di svalutare il passato regno dei Cesari. Ma già sotto Nerone, Publio Suillio, personaggio di rango, fu da Seneca attaccato, con testimonianze probatorie, per accuse infamanti «vaghe e imprecise» , contro Claudia Livilla, figlia di Druso, contro Poppea Sabina (madre della futura imperatrice), le quali, oppresse, si erano suicidate. Suillio, che si era servito a lungo dell’amicizia dell’imperatore Claudio, affermò di avere eseguito ordini dell’imperatore stesso. Contestato da Nerone, nipote di Claudio, , Suillio si difese scaricando tutto sulle spalle di Messalina, moglie dell’Imperatore Claudio. Ella non era là a difendersi. Era morta ed era una donna; si poteva imputarle senza rischio tutti i crimini del palazzo. Tuttavia quest viltà di Suillio non fu accettata ed egli dovette lasciare Roma, esiliato.
A quattordici anni Valeria Messalina fu data sposa al quarantottenne Claudio, uomo di studi, privo di ambizioni politiche. Fin dall’infanzia, seguito da madre Antonia e dalla nonna Livia Augusta, scriveva storia e critica in latino e in greco, scriveva la storia degli Etruschi.
Tra vedovanze e divorzi, con Messalina è al suo quinto matrimonio. Personaggio negletto, nessuno avrebbe potuto prevedere la sua elezione alla guida dell’Impero. Due anni dopo il matrimonio con Messalina, nel 41, alla morte del giovane nipote, l’imperatore Caligola ucciso, con la famiglia, in una ricorrenti congiure dell’aristocrazia egli, fratello dell’amato Germanico e unico erede maschio dei Giulio-Claudi, venne scelto come successore, «dimostrando, così, di considerare la continuità della dinastia un fattore di sicurezza». Claudio rivelerà qualità e capacità eccezionali sicuramente già note a coloro che lo avevano prescelto, misconosciute, invece, dai senatori «storici» ostili.
Messalina gli ha già dato la piccola Ottavia (futura sposa di Nerone) ed è in attesa del secondo figlio. Venti giorni dopo l’ascesa di Claudio all’Impero nascerà un bambino. In un primo momento sarà chiamato Germanico, come il fratello di cui Claudio era tanto orgoglioso da esaltarne la memoria in ogni occasione; successivamente fu chiamato Britannico .
La felicità della giovanissima moglie, appena sedicenne, e dell’imperatore, è al massimo. Nel cavo delle mani paterne il bambino è presentato ai soldati e al popolo acclamante.
Della vita di Valeria Messalina, non sappiamo niente se non che era figlia di Messala, cugino di Claudio. Come altri personaggi femminili è presentata da Tacito, con un profluvio di aggettivi spregiativi. Per saperne qualcosa di concreto ed equanime, si deve indagare sull’imperatore, sulla satira, sui personaggi del suo breve tempo.
Fu scritto che ella aspirasse al possesso di un giardino, in quel tempo di proprietà del potente consolare Valerio Asiatico, e che per questo volesse la di lui morte. Analoga accusa sarà riutilizzata, a suo tempo, contro l’imperatrice Agrippina. A parte il fatto che a Messalina i giardini non mancavano essendo i possedimenti imperiali considerevoli, a parte il fatto che c’erano anche quelli di sua madre Domizia Lepida, vastissimi, nei quali il piccolo Nerone, cugino di Messalina, aveva giocato e imparato a conoscere i cavalli, la realtà era diversa e attinente alla politica.
Valerio Asiatico, assiduo cortigiano, più volte console, ricchissimo, ben visto dagli eserciti di Germania e perciò temibile; per sua stessa minacciosa ammissione e vanto, aveva promosso e capeggiato la cospirazione della fazione aristocratica per l’assassinio dell’imperatore Caligola, nipote di Claudio.
Egli, Claudio, temeva i complotti più di quanto amasse Messalina che dovette sopportare le sue paure, del tutto giustificate. Alla sua nomina all’Impero, senatori e governatori avevano dato il via ad una nuova ribellione. Nel 42 venne scoperta la congiura che vide coinvolto, tra altri, A. Cecìna Peto, la cui animosa moglie, Arria Maggiore, dopo essersi inferta un colpo di pugnale lo porge al marito, con la celebre frase: «Paete, non dolet».
Così, parentele ed amicizie a parte, si procedette alla punizione degli uccisori di Caligola, misura essenziale, se si voleva imporre il rispetto della casa imperiale. Il severo provvedimento fu preso tra le lacrime (pare che gli antichi romani lacrimassero assai, in certe circostanze), ma fu preso ed eseguito.
I beni degli accusati per lesa maestà o altro crimine capitale, non venivano confiscati se l’accusato si toglieva la vita prima del processo: Valerio Asiatico era reo pubblico e confesso. Tra i consiglieri di Claudio decisivo fu l’anziano Lucio Vitellio, padre del futuro imperatore Aulo Vitellio , console sotto Tiberio, generale in Oriente, intimo del nuovo principe.
Durante l’impero di Claudio, ossessionato dalle congiure, 35 senatori e 300 cavalieri furono consegnati al carnefice o si suicidarono. L’avversa storiografia senatoria accusa la giovane Messalina di quasi tutte le condanne del tempo. Seneca, invece, nelle sue numerose opere pervenuteci, «non fa alcuna censura a Messalina». Finalmente gli Studiosi moderni concludono che gli imputati erano colpevoli di cospirazione; per ognuno fu esercitato il giudizio pubblico e solenne del senato.
Gli «storici» senatori inventarono il ridicolo pretesto che i condannati avevano rifiutato le seduzioni di Messalina! E alcuni storici, romanzieri, teatranti, apologeti religiosi, l’hanno pedissequamente (o volutamente) considerato e diffuso. Spesso si è trascurato il dato storico che «... le cospirazioni, come tentativo della classe aristocratica, allo scopo di abbattere l’Impero (e restaurare l’oligarchia) ... », furono costanti, incessanti. «Quippe fama spe veneratione potius omnes destinabantur imperio quam quemfuturum principem fortuna in occulto tenebat» (il) (Per reputazione, per speranza di sé, per dignità, tutti potevano essere destinati al comando dell’Impero, piuttosto di colui che la fortuna teneva in serbo come futuro principe).
Le incessanti congiure politiche costrinsero tutti i principi a vivere sotto la costante minaccia delle cospirazioni. Alcuni le sventarono, altri ne rimasero vittime. Domiziano, come Adriano e Marc’Aurelio, affermava che «la condizione di principe è penosissima: le congiure sono credute solo alla prova della morte». Ma Tacito, nei suoi scritti, pone ogni cura perché i cospiratori vengano creduti vittime di tiranni e addosserà gran parte delle colpe alle donne Per lo «storico» senatore Tacito, tiranni sono coloro che, a partire da Augusto, orientato soprattutto alla difesa delle smisurate frontiere, evitano guerre di conquista, occasione di immense ricchezze e potenza per gli aristocratici. E tutte le dicerie dei salotti, dei banchetti, delle conventicole ricche, oziose, deluse, vengono raccolte e gabellate per Storia.
Contro lo strapotere dei senatori, Claudio aprì le magistrature ai maggiorenti Gallici, suscitando odi e gelosie; dètte ai disprezzati liberti una sempre maggiore preminenza nell’ amministrazione imperiale. Il ricorso ai liberti contro l’arroganza del privilegio fu, con alterne vicende, pratica antica. I liberti, e schiavi, non avevano possibilità alcuna di raggiungere il massimo potere. Il cronachismo senatorio, contro la realtà storica, si vendicherà bollando gli Imperatori come strumenti delle mogli.
Il principato non era ereditario, dunque, e le ambizioni si accendono. I ciò sedizioni e congiure, delazioni e accuse, menzogne scandalose diffuse con libelli sparsi nei circhi, nei teatri e ovunque. L’ordine senatorio, cospicuo di delatori, riceveva in premio i beni dei condannati. Aumentò l’opportunità di accusare le proprie consanguinee e incamerarne i beni.
Si dava incarico ai poeti, mass media ante litteram, di comporre versi oltraggiosi contro le donne.
Uno dei più accaniti denigratori di Messalina è Giovenale, l’opera quale è considerata, da studi recenti «... innanzi tutto immaginazione». Incomincerà a scrivere satire, mezzo secolo dopo la morte dell’imperatrice. Affermerà lui stesso che tutto è lecito dire contro i morti. I suoi versi rivelano sua malattia, la sua «abnorme forma di repulsione per l’altro sesso», la misoginìa esasperata.• Alla lunga, tetra satira contro le donne «si accompagnano il disordine, le ripetizioni, la lenza estrema degli attacchi, spesso sproporzionati ai vizi, o presunti vizi, rappresentati, e l’estrema disgustosità di talune descrizioni »
Tema dominante della sua satira è l’attacco ai ricchi. Tuttavia «meglio il codice che Giovenale». Spirito scontento, rabbioso, suscita molta pena e, anche se i poeti non sono «storici»; anche se i versi non hanno l’obbligo di essere onesti (come dice Catullo), i contrastanti giudizi su di lui, spesso molto severi; la constatazione della sua fantasia deformatrice, contraddittoria, attenua di molto l’indignazione che ogni donna può provare alla lettura della VI satira. A merito del poeta emerge che, dopo Plauto, egli è l’unico scrittore latino che non appartenga alle classi privilegiate, né sia inserito al servizio clientelare di quelle. Giovenale considerava depravazioni femminili attività desiderabili: una donna che facesse ginnastica o che si occupasse di letteratura, era una donna corrotta. «Sed quaedam ex libris, et non intellegat» («Poche cose sappia dai libri, e che neppure capisca») Il suo ideale di donna ottusa, ignorante sarà largamente recepito nell’oscuro Medioevo quando i vescovi minacceranno l’inferno per quei principi alle cui corti si impara a leggere e a scrivere.
La vita dell’imperatrice era troppo gelosamente sorvegliata perché potesse permettersi le brutture che l’odio di parte, interessato a beghe di potere, le attribuisce.
Le matrone sono garanzia di onestà: gli accusati, talvolta, se ne circondano per andare in giro a proclamare la propria innocenza; e quando esse escono sono accompagnate da un fitto stuolo di custodi e cortigiani, uomini e donne.
Messalina si occupa dei figli, più interessata al loro e al proprio benessere che al potere. Ai conviti partecipano, grandi o piccoli, tutti i bambini e bambine del palazzo e della nobiltà, compresi i figli avuti da Claudio dalle precedenti mogli; i più piccoli seduti a parte, come voleva il costume, presso i genitori. Mancava Druso, avuto da Urgulanilla, terza moglie claudiana, morto fanciullo, a Pompei, mentre giocava con un frutto lanciato in aria e ripreso con la bocca.
Si riteneva la spontanea conversazione famigliare più proficua dei discorsi preparati.
Come tutte le altre donne, Messalina si occupa della propria toeletta, della propria acconciatura ad opera di esperte pettinatrici. Il disordine delle chiome fu, da sempre, indice di lutti, espiazioni rituali, calamità. Plinio il Vecchio le attribuisce la diffusione di un composto per l’igiene dei denti, ottenuto con la polvere di corno di cervo
Partecipa al trionfo militare del marito per la conquista della Britannia, assisa su di un carro, scatenando, secondo lo «storico» senatore, la gelosia dei molti cospicui personaggi appiedati e privi di vesti trionfali. In verità l’impresa guerresca, già tentata dal nipote Caligola, fu conclusa in breve tempo.
Tacito, avarissimo di elogi alla bellezza, introduce Caio Silio, nobile frequentatore del palazzo, come «il più bel giovane di Roma». E Messalina ne è incantata, dice. I due si frequentavano, con tutta la corte, sotto gli occhi di tutta la città e «Claudio ignorava tutto», afferma lo «storico». In una Roma che nulla ignora e nulla tace, con stuoli di cortigiani, liberti imperiali, schiavi e schiave, delatori, una qualunque relazione sentimentale esistente non potevi restare ignorata. Non è escluso, secondo la recente storiografia, che tutta la faccenda sia stata ingigantita dai potenti liberti.
Una realtà esisteva: Silio, patrizio e prossimo al consolato, sostenitore di una clamorosa ripresa della legge Cincia, relativa agli avvocati, promossa da Claudio, aveva ben altre mire, come già il padre, protervo comandante in Germania, a suo tempo condannato. «Aspirava a ben più grande dignità», e per raggiungere i suoi scopi e quelli dei suoi complici «pronti a tutto», circuisce l’imperatrice, «con insistenti argomentazioni», recisamente respinte dalla giovane, ben decisa a mantenere, senza rischi, la sua altissima posizione.
Al fantasioso racconto della «relazione» e delle «nozze» di Silio e Messalina sposa dell’imperatore, racconto che la critica moderna definisce «storielle»- tanto assurdo, inteso come matrimonio, che persino Tacito tiene a discolparsi di quanto espone, dicendo che l’ha sentito raccontare dai vecchi, Svetonio aggiunge con franchezza: «Ciò che passa ogni possibilità di essere creduto è che (a Claudio) gli abbiano fatto firmare il contratto di quelle nozze....». Si trattava di una comune festa della vendemmia da rappresentarsi in uno dei soliti intrattenimenti salottieri degli oziosi, mentre Claudio si recava a Ostia ad esercitare il suo compito di censore. Una gran festa bacchìca che la giovane imperatrice voleva dare, all’aperto e per la quale l’imperatore aveva comandato all’attore Mnestere, pratico teatrante, di mettersi a disposizione della moglie. Si era in autunno; l’uva premuta sotto i torchi, dagli schiavi, riempiva tini. Le dame, cinte di pelli, danzavano, cantavano e agitavano il tirso con Messalina. Gli aristocratici invitati, tra i quali Silio, coturnati, incoronati di edera, accompagnavano cori e suoni. Tutto ciò rappresentava una festa mondana in piena regola, come altre.
In realtà si trattò di una congiura ben architettata nella quale fu coinvolta la spensierata Messalina, mentre il marito era poco lontano, fuori Roma. Narciso, liberto del principe, sospettò o venne a conoscenza del complotto. Impensierito all’idea di cambiamenti radicali sfavorevoli ai propri enormi interessi, prese l’iniziativa di soffocare ciò che ritenne una cospirazione. Manda due donne, due liberte, da Claudio, ad accusare Messalina come amante di Silio. Ma egli, incredulo, rinviando il rientro a Roma, l’evento gli fu ripresentato come colpo di Stato, ordito dall’imperatrice, da Silio, «suo amante», e numerosi congiurati; che si mettesse subito sotto la protezione delle coorti pretorie, delle quali Narciso prese il comando.
Questa volta la consueta paura delle congiure divenne terrore e Claudio rientra precipitosamente a Roma.
I pretoriani chiesero la morte immediata per i congiurati.
Intanto Messalina, bruscamente richiamata alla terribile realtà, che andava contro ogni suo interesse di imperatrice, vuole raggiungere, coi figli, il marito e spiegarsi. Narciso glielo impedisce: ella avrebbe potuto chiarire tutto e salvare sé stessa e, forse, i congiurati.
Con Silio furono condotti al supplizio numerosi cavalieri romani; altri personaggi, rei confessi; il prefetto delle guardie notturne, il sovrintendente della scuola dei gladiatori, il senatore Vergiliano, il famoso medico di corte Vezio Valente e il povero Mnestere il cui invidiabile incarico a corte aveva suscitato un vespaio di chiacchiere.
Le Vergini Vestali furono con Messalina. La Vestale Massima chiese udienza all’imperatore «seriamente sdegnata per le accuse e la condanna a morte dell’imperatrice senza ascoltarla» Non si poteva mandarla via e Narciso mentì, assicurandola che il principe avrebbe ascoltato Messalina e che essa avrebbe avuto facoltà di chiarire la sua posizione: la Vestale poteva tranquillamente tornare ai propri riti. Quindi vietò che Ottavia e Britannico, i figli di MessaIina e dell’imperatore, sconvolti, spaventati, fossero fatti avvicinare al padre.
Messalina, impotente, in preda alla disperazione, scrive una supplica al marito e Claudio comandò di farla venire in sua presenza. Allora Narciso capì che «se non si fosse affrettato ad ucciderla la rovina si sarebbe rivolta contro lo stesso accusatore». Egli aveva scagliato le accuse contro Messalina e Silio.
Si precipitò dall’imperatrice. La trovò, tremante, in lacrime, assistita dalla madre che, disperatamente senza illusioni, la incoraggiava al suicidio per non cadere nella mano disonorante del boia. Le porte si spalancarono e Messalina fu trafitta. Il corpo di lei fu lasciato alla madre.
Valeria Messalina aveva poco più di vent’ anni «... e Tacito si indigna per la sua esitazione a uccidersi».
Narciso avrà modo di vantarsi di essere stato lui, con le sue manovre, a causare la rovina di Messalina e di essere pronto a ripeterle una seconda volta contro la futura candidata all’Impero.
Domizia Lepida, madre di Valeria Messalina, «tentò di turbare la pace in Italia scatenando, in Calabria, le masse dei suoi schiavi»
La potenza di Narciso terminò bruscamente quando arrivò nel palazzo la nuova sposa di Claudio, l’imperatrice Agrippina Minore. Messalina poteva avere pace.
«L’ indagine storica... ci obbliga a ridurre di parecchio le colpe di Messalina, la quale, nei secoli successivi, fu accusata di una serie spaventosa di omicidi, rapine ... e sfrenatezze»
tratto dal libro di Flora Gestri Greco "Le donne di Roma Antica".
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