Apollo e Giacinto
Sparta ha dato i natali a numerosi eroi e a tanti grandi guerrieri, ma non solo ad essi. La città del Peloponneso è stata anche il luogo di nascita di uno dei fanciulli più affascinanti mai esistiti, talmente bello da essere amato follemente dal dio Apollo stesso, al punto che questo aveva cominciato a trascurare i suoi doveri all'Oracolo di Delfi, a non suonare più la cetra e a non esercitarsi più con l'arco, pur di passare del tempo con lui.
Il suo nome era Giacinto ed era il figlio di Amicla e Diomeda, nipote di Lacedemone e Sparta. Si dice che anche Zefiro lo desiderasse ardentemente e che quindi se lo fosse conteso con Apollo, ma fallì le sfide e fu obbligato a mettersi da parte.
Come accadde a Ganimede che, amato da Zeus, era stato portato nell'Olimpo a vivere in eterno, anche Giacinto avrebbe avuto lo stesso onore, in virtù dell'amore di Apollo, ma il Destino decise diversamente.
In vista delle Olimpiadi a cui avrebbe partecipato Giacinto, quest'ultimo e Apollo si esercitarono nel lancio del disco. Venne il turno del dio, e appena lo lanciò con estrema perizia, il disco vibrò in alto, squarciando l'aria e le nuvole e arrivando molto vicino al carro di Elios. Il disco poi cominciò a scendere, molto vicino a dove si trovava Giacinto, destinato però a conficcarsi nel duro terreno, se non fosse intervenuto il geloso Zefiro: questo, con la forza del suo potente vento, deviò il pesante disco verso il viso di Giacinto, che stramazzò al suolo appena colpito.
Furono vani i tentativi di Apollo, che provò ad utilizzare la sua conoscenza e la sua abilità per tentare di salvarlo, adoperando erbe da mettere sulla ferita. Ma nessun tipo di arte né medicina poteva impedire il triste fato, così Giacinto morì e Apollo pianse a lungo, straziato dalla perdita del suo amore.
Queste furono le ultime parole di Febo per il suo amore perduto:
"Tu spiri, o Ebalìde, defraudato del fiore della giovinezza, e io vedo questa tua ferita che mi accusa. Crimine mio, pena mia! La mia mano è responsabile della tua morte, ad ucciderti sono stato io! E tuttavia, è una colpa la mia? Si può chiamare colpa avere giocato? Si può chiamare colpa avere amato? E almeno potessi pagare con la vita, morendo con te! Poiché la legge del destino me lo impedisce, io ti avrò sempre nel cuore e tu sarai sempre sulle mie labbra. Te celebrerà la lira percossa dalle dita, te celebreranno i miei canti e, nuovo fiore, tu porterai scritto su di te il mio lamento. E verrà il giorno che anche un fortissimo eroe si convertirà in questo stesso fiore, e sui petali anche il suo nome si potrà leggere". -Metamorfosi, Ovidio, X-196-206-.
Infatti, si dice che dal sangue di Giacinto sparso sul terreno, fosse nato un bellissimo fiore, rosso quanto la porpora di Tiro, sui cui petali venne inciso il lamento di Apollo: "AI AI".
Sparta fu onorata di avere dato i natali a Giacinto, infatti per molti secoli vennero celebrate le feste in suo onore, Le Giacinzie.
~ Jean Broc, "La morte di Giacinto", 1801.~
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Coltivati già dai Greci e dai Romani, i giacinti sono fra i fiori più celebrati da scrittori e poeti antichi.
A Sparta nel momento della loro fioritura si tenevano le feste giacinzie e le ragazze greche indossavano corone di giacinti alle nozze dei loro fratelli. Secondo la mitologia il fiore nasce dal sangue del bellissimo Giacinto, il giovane spartano di cui Apollo s’era invaghito: i due stavano giocando al lancio del disco quando Giacinto fu colpito in faccia dall’attrezzo lanciato da Apollo e l’incidente risultò fatale.
Apollo, disperato, fece nascere un fiore che ricordasse in eterno il suo dolore.
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