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Ettore, principe di Troia

 Ettore, principe di Troia

«Ma non fia per questo

che da codardo io cada: periremo,

ma glorïosi, e alle future genti

qualche bel fatto porterà il mio nome.»


(Ettore, prima dell'ultimo duello contro Achille; Iliade, XXII, 304–305.)



Non era Acheo, né era figlio di una qualche divinità, uno degli uomini più valorosi vissuti durante l'era degli eroi. Era un principe dell'Asia, principe della poderosa Rocca di Ilio. Ettore, così si chiamava il primogenito di re Priamo e della regina Ecuba. Un uomo tanto amorevole con i propri cari, quanto feroce sul campo di battaglia, al punto da essere temuto e rispettato dai più possenti e valorosi eroi achei come Achille e Aiace Telamonio. Ma la volontà degli dei non sempre è favorevole al fato dei più giusti e valorosi. E anche se lo fosse, neanche il potente Zeus potrebbe interferire con la volontà delle Moire, le quali tessono il filo del destino di tutti gli uomini.
Da quando gli Achei erano sbarcati sulle spiagge di Troia, era stato Ettore a condurre le difese della città per nove lunghi anni, divenendo simbolo di speranza per tutti i Troiani e un nemico temuto da tutti gli Achei. Agamennone si rese conto di quanto fossero inespugnabili le mura di Troia finché fosse rimasto in vita Ettore a difenderle. Accaddero inoltre altre cose che favorirono il principe Troiano: l'unico tra i guerrieri Achei che avesse potuto rivaleggiare con lui, un uomo di nome Achille, che grazie alla sua sola presenza in battaglia gli Argivi potevano tenere testa ai Troiani, ebbe una grossa lite con il re Agamennone che gli infuse una grande "ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei", poiché dopo quella lite, lui e i suoi Mirmidoni abbandonarono il campo di battaglia e da quel momento Ettore sarebbe diventato inarrestabile.
Arrivò un giorno in cui, dopo avere consolato dalla disperazione sua moglie Andromaca, ricordandole che, come uomo onorevole, avrebbe dovuto proteggere la città dai nemici, rischiando la propria vita, e dopo avere salutato il figlioletto Astianatte, Ettore scese sul campo di battaglia accompagnato dai suoi soldati e da suo fratello Paride, il quale era la principale causa della guerra.
Conscio di essere temuto da tutti i nemici e consapevole di avere la protezione di Apollo, Afrodite e Ares, Ettore lanciò una sfida per singolar tenzone a tutti i principi Achei. Tutti tranne Achille, poichè mancava dal campo. Nessuno di loro si fece avanti finchè il prode Nestore, re di Pilo, non li richiamò all'onore, dicendo loro che se avesse avuto ancora la loro età, non avrebbe esitato un momento.
I principi quindi tirarono a sorte e venne scelto il secondo più valoroso e forte dopo Achille: Aiace, figlio di Telamone.
Il combattimento che ne seguì fu clamoroso: nessuno riuscì ad avere il sopravvento sull'altro, e combatterono fino al calare della notte, il momento in cui tutte le ostilità, per legge divina, sarebbero dovute cessare. Dopo essersi battuti, dimostrarono rispetto reciproco e si scambiarono dei doni, consapevoli del valore del proprio avversario.
Nei giorni che seguirono, Ettore e il suo esercito fecero un ecatombe tra le fila degli Achei e li spinsero in ritirata fino a raggiungere le loro navi. Achille però, adirato ancora con Agamennone, non ne voleva sapere di intervenire, nonostante i Troiani minacciassero di distruggere le navi, ovvero loro unici mezzi con cui sarebbero potuti tornare a casa. Patroclo insisteva energicamente per un tempestivo intervento, così propose ad Achille di combattere al posto suo, indossando la sua armatura, impugnando le sue armi e prendendo il comando dei Mirmidoni. Il Pelìde accettò.
Vedendo nuovamente "Achille" e i suoi Mirmidoni sul campo di battaglia, gli Achei ripresero coraggio e riuscirono a respingere i Troiani. Patroclo però non ascolò i consigli di Achille, il quale gli aveva detto di limitarsi a respingere i Troiani senza inseguirli fino alle mura. Ciò causò la sua sventura: Ettore si abbattè su di lui e lo uccise. Patroclo, prima di spirare, ammonì il principe Troiano, dicendogli che sarebbe morto per mano di Achille.
Ettore prese quindi possesso delle armi e dell'armatura del Pelìde, in attesa del suo fato.
I combattimenti continuarono nei giorni seguenti, ma presero un'altra piega: Achille, furente per la morte dell'amato amico, rientrò sul campo di battaglia facendo una strage tra i Troiani, arrivando con gli Achei sotto le mura di Troia. Aveva armi e armatura nuove, si dice forgiate dallo stesso Efesto. Uccise anche Polidoro, uno dei fratelli di Ettore.
Ben presto, il principe Troiano si rese conto di essere rimasto da solo fuori dalle porte Scee con Achille che gli si parò davanti. Non seppe resistere alla paura causata dalla visione di quel guerriero in armatura divina, così cominciò a fuggire attorno alle mura, con Achille che lo inseguiva. Intervenne però la dea Atena che parteggiava per i Troiani, trasformandosi nel fratello di Ettore, Deifobo, spronando l'eroe ad affrontare il suo rivale. Ettore riprese coraggio, e propose ad Achille che il vincitore del combattimento concedesse allo sconfitto i rituali funebri. Achille, con l'ira in cuore, rispose che, come gli agnelli non facevano patti con i lupi, i leoni non avrebbero fatto patti con gli uomini. Ettore si accorse inoltre che sui fratello era sparito lasciandolo solo, rendendosi quindi conto che la sua apparizione era solo di un inganno degli dei. Il combattimento fu breve: ad Achille bastò assestare un colpo tra la spalla e il cuore per uccidere il suo rivale, ponendo fine alla più grande minaccia per gli Achei e causando il lutto dell'intera città. Prese il corpo di Ettore e, per sfregio, lo legò alla sua biga e fece più volte il giro delle mura di Troia, a dimostrazione della sua vittoria.
Tornato al campo Acheo con il suo trofeo, Achille espose il corpo di Ettore fuori dalla sua tenda perchè lo vedessero tutti.
Ma, inaspettatamente, una notte giunse una visita inaspettata: era il vecchio re Priamo in persona, il padre di Ettore. Si dice che Ermes stesso lo abbia guidato nel campo Acheo, celandolo alla vista dei nemici. Si abbassò ad inginocchiarsi e a baciare le mani di Achille, le stesse mani che avevano tolto la vita a suo figlio. Gli chiese indietro il corpo di Ettore, pregandolo di poterlo onorare con una degna sepoltura, in modo che la sua anima potesse accedere nell'Ade. Gli ricordò inoltre il rispetto che aveva nei confronti di suo padre, Peleo, con il quale aveva condiviso tante imprese, in passato. Alla fine Achille, tra le lacrime, cedette. Restituì il corpo e concesse dodici giorni di tregua a Priamo, in onore del lutto per Il Principe caduto.
Priamo tornò così a Troia con il corpo di suo figlio. Venne celebrato il funerale del più grande eroe che Troia aveva mai conosciuto, un marito giusto, un padre amorevole e un guerriero valoroso, che aveva difeso la città per nove lunghi anni rischiando più volte la vita, per poi infine morire dopo avere affrontato con coraggio il proprio destino. La morte di un solo uomo valoroso causerà infiniti tragedie per la città di Troia.

dal web



~ "Ettore saluta Andromaca", Sergey Petrovich Postnikov, seconda metà del XIX secolo~
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