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il libro dei fatti ( estratto )

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Nemesi cosmica

Sessantacinque milioni di anni fa i dinosauri scomparvero dalla faccia della terra in uno spazio di tempo che su scala geologica corrisponde a un battito di ciglia. Circa 165 milioni di anni prima i dinosauri erano la specie dominante dal pianeta.

I paleontologi si sono interrogati a lungo sulla loro scomparsa, e hanno proposto come motivo più probabile dei bruschi cambiamenti del clima terrestre. Ma che cosa, in primo luogo, provocò questi catastrofici mutamenti? Un'alterazione graduale dell'atmosfera o dell'ambiente avrebbe ampiamente consentito ai dinosauri di adattarsi.

La prima indicazione di una possibile causa cosmica giunse dalla collaborazione di due scienziati, padre e figlio, dell'Università della California a Berkeley. Il geologo Walter Alvarez stava studiando dei giacimenti presso Gubbio, in Italia, nel 1977, quando scoprì uno strato sedimentario ricco d'iridio, un elemento raro che è difficile trovare nella crosta terrestre. Suo padre, Luis Alvarez, premio Nobel per la fisica, suggerì una spiegazione: un enorme oggetto extraterrestre, forse una cometa o un asteroide, poteva aver colpito la terra e sollevato un'ingente quantità di detriti, facendo ricadere uno strato d'iridio. Fossili rinvenuti nell'argilla dove il giovane Alvarez aveva trovato l'iridio permisero di far risalire il giacimento a 65 milioni di anni fa, il periodo della grande estinzione dei dinosauri.

Altre estinzioni di massa, a quanto pare, avvennero periodicamente ogni 26 milioni di anni, ma anche a intervalli più brevi, vale a dire di qualche migliaio di millenni. Non è possibile che un eventuale ciclo cosmico ricorrente sia la spiegazione di queste totali estinzioni, compresa quella che cancellò dal pianeta il Tyrannosaurus Rex e altre specie simili?

Certi scienziati sono di questo avviso. Nel 1984 l'astrofisico di Berkeley Richard Muller e l'astronomo Marc Davis, insieme con un altro astronomo, Piet Hut, dell'Institute for Advanced Study dell’Università di Princeton, proposero l'esistenza di una compagna del Sole chiamata "Stella della Morte", o Nemesi, orbitante intorno al Sole ogni 26-30 milioni di anni. Avvicinandosi al sistema solare, il campo gravitazionale di Nemesi potrebbe far deviare degli asteroidi dalla loro orbita o trascinare delle comete nella sua scia, mandandole a schiantarsi sulla superficie della Terra.

Se le cose stessero davvero così, il Sole e Nemesi sarebbero collegati fra loro in un sistema binario. In effetti, la maggior parte delle stelle della nostra galassia sono binarie, ma non se ne conosce nessuna che abbia periodi di rivoluzione così lunghi. Le loro orbite sono solitamente misurate in settimane o mesi. Inoltre, una simile stella compagna dovrebbe essere facilmente visibile. Muller crede che Nemesi possa essere una piccola stella rossa, il che ne renderebbe molto più ardua l'individuazione. Egli afferma che anche i periodi più lunghi di rivoluzione fra sistemi binari potrebbero essere comuni anche se noi non li abbiamo mai individuati a causa delle loro orbite estreme.

Un’équipe di astronomi condotta da Muller ha già scartato tutte le possibili candidate eccetto tremila stelle visibili dall'emisfero settentrionale. Se Nemesi non verrà trovata fra queste, dichiara Muller, lui e i suoi colleghi rivolgeranno la loro attenzione alle stelle dell'emisfero meridionale.

Non è il caso di preoccuparci che nel frattempo la Stella della morte ci visiti all'improvviso. Calcoli attuali situano Nemesi al punto estremo della sua orbita, e questo significa che non tornerà per altri 10- 13 milioni di anni.

L'incendiaria

Niente è più terrificante dell'infuriare di un incendio, specialmente se - nell'autentica tradizione di Firestarter di Stephen King - il piromane sta in agguato nel subconscio di qualcuno. Era questo il problema che la famiglia Willey dovette affrontare nel 1948 nella sua fattoria di Macomb, nell'Illinois. Il signor Willey mandava avanti l'azienda agricola con suo cognato e i suoi due figli. La sua nipotina Wanet stava gironzolando intorno alla casa. Sembrava che non stesse accadendo nulla di anormale finché in casa delle strane macchie marroni cominciarono a comparire sulla carta da parato. Esse diventavano incredibilmente calde, spesso raggiungendo i 240°C prima di sprigionare fiamme. Gli incendi erano così frequenti che i vicini dei Willey tenevano in casa secchi colmi d'acqua, in attesa di gettarla su un incendio non appena scoppiava. Qualche fiammata divampava quasi ogni giorno.

Nessuno sapeva spiegarne la causa, neppure la locale stazione dei pompieri. "L'intera faccenda è talmente stramba e fantastica che provo quasi vergogna a parlarne", confessò il capo dei pompieri Fred Wilson ai giornalisti.

Col passare dei giorni gli incendi si fecero sempre più frequenti e bizzarri. Ben presto cominciarono a divampare dalla veranda, dalle tendine e da altri punti della casa e le ipotesi si fecero più numerose. Secondo dei rappresentanti della vicina base dell'aeronautica militare, le combustioni erano causate dalle onde radio ad alta frequenza, mentre i funzionari del servizio antincendi ipotizzavano che nelle pareti della fattoria potessero formarsi dei gas infiammabili. Nonostante queste ingegnose spiegazioni, non emerse nessuna soluzione pratica al problema dei Willey.

Alla fine, dopo aver assistito agli incendi per giorni, gli stanchi e frustrati vigili del fuoco tartassarono la piccola Wanet fino a farle confessare, come dissero ai giornalisti, che era stata lei ad appiccare i fuochi tirando fiammiferi accesi mentre gli altri voltavano l'occhio.

Nessuno credette a questa spiegazione. La valutazione più attendibile venne da Vincent Gaddis, che studiò il caso nel 1962. Nel suo libro Luci e fuochi misteriosi affermò che la piccola Wanet avrebbe dovuto avere una costanza incredibile, e una scorta illimitata di fiammiferi, nonché parenti e vicini eccezionalmente miopi". In altre parole, come l'eroina di Firestarter, doveva aver appiccato gli incendi con mezzi paranormali, in un modo che andava molto al di là della comprensione delle autorità locali.

Trafitti da un palo

Ci sono esseri umani che sono sopravvissuti pressoché a ogni genere di catastrofe: dalla caduta da un aereo senza paracadute, all'ímpalamento con ogni genere di oggetti appuntiti. A quest'ultima categoria appartiene il caso del motociclista ventunenne Richard Topps, del Derbyshire, in Inghilterra, che sopravvisse a un malaugurato scontro col palo di una staccionata.

Nell'agosto del 1985 la motocicletta di Topps andò a sbattere contro un'automobile. Mentre il suo passeggero rimaneva gravemente ferito, Richard fu sbalzato al di sopra del manubrio e proiettato contro uno steccato, dove rimase infilzato diagonalmente dal petto all'anca da un paletto lungo ottanta centimetri.

A causa della confusione che si determinò, il giovane fu lasciato appeso per più di un'ora, completamente cosciente, ma incapace di liberarsi, finché fu trovato da suo fratello. Per togliergli il paletto che gli trapassava il torace ci vollero due ore di operazione, durante le quali i chirurghi trovarono che tutti i suoi organi interni vitali erano rimasti illesi. Topps si ristabilì rapidamente e fu dimesso.

La diciottenne Kimberley Lotti di Quincey, nel Massachusetts, subì un analogo impalamento nel dicembre 1983 mentre rientrava a casa dal lavoro al volante del suo camion, e anche lei visse abbastanza a lungo da poterlo raccontare. Il suo camion uscì di strada e si scontrò con un reticolato di alluminio. Uno dei pali di sostegno, del diametro di cinque centimetri, fu divelto, infranse il parabrezza e le trapassò la parte superiore sinistra del petto.

"Era strano", rammentò Kimberley in seguito, "non sentivo il minimo dolore. Pensavo che il tubo premesse semplicemente contro il mio braccio. Credo che fossi in stato di choc."

I soccorritori tagliarono il tubo per una lunghezza di circa 13 centimetri dalla parte anteriore e da quella posteriore del suo corpo e la portarono in ospedale, dove il resto del palo d'alluminio fu estratto senza mettere a repentaglio la sua vita.

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