il libro dei fatti - parte 5 di 1.396.587
Obiettivo: Tunguska!
Poco dopo l'alba del 30 giugno 1908 qualcosa proveniente dallo spazio colpì la Siberia L'esplosione, registrata dai sismografi perfino negli Stati Uniti e in Europa, fu una delle più forti mai avvenute. Per settimane polvere e detriti sollevati dalla gigantesca conflagrazione colorarono i cieli e i tramonti da una parte all'altra del globo. Al momento dell’impatto le calamite impazzirono in tutto il mondo, e numerosi cavalli barcollarono e stramazzarono al suolo in città lontane migliaia di chilometri.
La zona direttamente interessata, quella del bacino del fiume Tunguska, fu devastata su larga scala. Ettari di tundra si coprirono all'istante di vapore. Gli alberi furono abbattuti nel raggio di quaranta chilometri, e rami e cortecce si staccarono dai tronchi. La foresta s’incendiò. Mandrie di animali e alcuni insediamenti umani furono divorati dalle fiamme. I Tungusi che tornarono sui luoghi del disastro "trovarono soltanto cadaveri carbonizzati". Quella notte nell'intera Europa non scese il buio. A Londra era possibile leggere il giornale a mezzanotte senza bisogno d'illuminazione artificiale; in Olanda si potevano scattare fotografie di navi che veleggiavano nello Zuider Zee.
A causa della lontananza della Tunguska, il primo ricercatore scientifico arrivò sul teatro della tragedia soltanto nel 1927, quando il dottor Leonid A. Kulik, un esperto di meteoriti di Pietrogrado, vi giunse a capo di una spedizione. A sessant'anni di distanza, l'origine dell'immane esplosione della Tunguska è ancora oggetto di accese discussioni.
Si trattava di una cometa errante? Di una piccola massa di antimateria che colpì e forse attraversò la Terra? Oppure del generatore nucleare di una nave spaziale in avaria, che fece una deviazione per non colpire grandi centri abitati del nostro pianeta? Ciascuna teoria ha i suoi fautori e presenta i suoi problemi. Certi testimoni interrogati da Kulik, e in seguito da altri studiosi, riferirono di aver visto una palla di fuoco con una scia, una coda, il che potrebbe far pensare sia a una meteorite, sia a una cometa. Ma se l'oggetto abbattutosi sul bacino della Tunguska era una meteorite, che ne era stato del cratere e, cosa ancora più importante, del meteorite stesso? Né l'uno né l'altro furono trovati. E, se si trattava di una cometa, perché non era stata avvistata prima del suo arrivo? Inoltre, dato che le comete sono in prevalenza gassose, "palle di neve sporca", da dove provenne quell’immensa energia che fu sprigionata, e che fu stimata dell'ordine di 30 megatoni?
Gli esperti di fisica nucleare hanno da lungo tempo profetizzato la presenza di ciò che chiamano antimateria, ovvero immagini speculari della comune materia, ma con carica negativa. Tuttavia l’antimateria, così come noi la conosciamo, ha una vita estremamente breve. Una piccola massa che venisse a contatto con la comune materia provocherebbe, in effetti, un improvviso e tremendo rilascio di energia. Ma l'ipotesi non regge, perché e impossibile che masse di antimateria vaghino in questa parte dell'universo.
L'evento della Tunguska "potrebbe" essere stato causato da una nave spaziale extraterrestre, ma anche in questo caso mancano prove decisive. Alcuni ricercatori sovietici hanno rilevato tracce anomale di radioattività nel luogo devastato, altri no. Inoltre, un eventuale veicolo spaziale avrebbe dovuto rimaner completamente disintegrato nell'esplosione, perché non furono mai trovati frammenti metallici insoliti.
Le pareti sanguinanti
Gli agenti della squadra omicidi di Atlanta sono abituati alla vista del sangue. Il sangue nasce dalla particolare violenza del luogo, da persone uccise a colpi di arma da fuoco, a coltellate o a forza di percosse. Ma quei poliziotti non erano preparati alla vista di sangue "in assenza" di un cadavere, soprattutto di sangue che scaturiva dalle pareti e creava pozzanghere sul pavimento della casa di un'anziana coppia di coniugi georgiani, William e Minnie Winston, rispettivamente di settantanove e settantasette anni.
Minnie Winston notò prima il sangue che sprizzava dal pavimento della stanza da bagno "come se venisse da un annaffiatoio" quando, un giorno di settembre del 1987, entrò per fare il bagno in quella stanza della casa di mattoni con tre camere da letto, dove abitava con suo marito da ventidue anni. Il 9 settembre, poco dopo mezzanotte, quando i due coniugi trovarono altro sangue che gocciolava dalle pareti e imperlava il pavimento delle stanze, telefonarono alla polizia.
"Io non sanguino", precisò William Winston, "e nemmeno mia moglie. E qui viviamo soltanto noi due." Quella sera Winston era andato a letto verso le 21.30, dopo aver chiuso le porte e aver messo in funzione il sistema di allarme. Né lui né sua moglie avevano sentito rumori sospetti, e il sistema di allarme era sempre rimasto attivato.
Steve Cartwright, agente della squadra omicidi di Atlanta, ammise che la polizia aveva trovato "una grande quantità di sangue" spruzzato in tutta la casa, ma non vide nessun corpo, di animale o di essere umano, che potesse spiegarne l'origine. Il giorno dopo il laboratorio della scientifica dello stato della Georgia confermò che il sangue era umano.
Cal Jackson, il portavoce della polizia di Atlanta, dichiarò che il dipartimento considerava l'episodio "una circostanza insolita poiché non disponiamo di un cadavere o di un motivo che spieghi la presenza di tanto sangue".
Un caso di autocombustione
Certi dicono che la cucina è il posto più pericoloso della casa. Ma l'8 gennaio 1985 la diciassettenne Jacqueline Fitzsimons, studentessa di alta cucina presso l’Istituto Tecnico Hilton di Widnes, nel Cheshire, era uscita dalla cucina e stava conversando con delle compagne di classe nel corridoio quando improvvisamente s'incendiò.
Jacqueline accusò una sensazione di bruciore alla schiena mentre parlava con un'amica, Karen Glenholmes. "Tutt'a un tratto Jacqueline ha detto che non si sentiva bene", riferì Karen, "abbiamo sentito puzza di bruciato e abbiamo visto che la sua camicia si era incendiata. Si è messa a gridare aiuto perché stava ardendo. In un attimo anche i suoi capelli erano in fiamme."
Le insegnanti e le altre studentesse che si trovavano nel corridoio le strapparono di dosso gli abiti in fiamme e spensero il fuoco. Poi la ragazza fu trasportata in tutta fretta all'ospedale, dove si resero evidenti gli effetti devastanti dell'incidente: il fuoco aveva divorato il 18 per cento della sua pelle. Dopo quindici giorni, malgrado le cure intensive, morì.
Il funzionario della prevenzione incendi del Cheshire, Bert Gilles, ammise di essere perplesso come chiunque altro. "Ho interpellato sette testimoni oculari" disse "finora non esiste una chiara spiegazione del fuoco, anche se la combustione spontanea è una possibilità da prendere in esame."
Il coroner avviò un'inchiesta, e alla fine un giurì archiviò il caso stabilendo che Jacqueline Fitzsimons era morta "per disgrazia", il che era indubbiamente vero.
Obiettivo: Tunguska!
Poco dopo l'alba del 30 giugno 1908 qualcosa proveniente dallo spazio colpì la Siberia L'esplosione, registrata dai sismografi perfino negli Stati Uniti e in Europa, fu una delle più forti mai avvenute. Per settimane polvere e detriti sollevati dalla gigantesca conflagrazione colorarono i cieli e i tramonti da una parte all'altra del globo. Al momento dell’impatto le calamite impazzirono in tutto il mondo, e numerosi cavalli barcollarono e stramazzarono al suolo in città lontane migliaia di chilometri.
La zona direttamente interessata, quella del bacino del fiume Tunguska, fu devastata su larga scala. Ettari di tundra si coprirono all'istante di vapore. Gli alberi furono abbattuti nel raggio di quaranta chilometri, e rami e cortecce si staccarono dai tronchi. La foresta s’incendiò. Mandrie di animali e alcuni insediamenti umani furono divorati dalle fiamme. I Tungusi che tornarono sui luoghi del disastro "trovarono soltanto cadaveri carbonizzati". Quella notte nell'intera Europa non scese il buio. A Londra era possibile leggere il giornale a mezzanotte senza bisogno d'illuminazione artificiale; in Olanda si potevano scattare fotografie di navi che veleggiavano nello Zuider Zee.
A causa della lontananza della Tunguska, il primo ricercatore scientifico arrivò sul teatro della tragedia soltanto nel 1927, quando il dottor Leonid A. Kulik, un esperto di meteoriti di Pietrogrado, vi giunse a capo di una spedizione. A sessant'anni di distanza, l'origine dell'immane esplosione della Tunguska è ancora oggetto di accese discussioni.
Si trattava di una cometa errante? Di una piccola massa di antimateria che colpì e forse attraversò la Terra? Oppure del generatore nucleare di una nave spaziale in avaria, che fece una deviazione per non colpire grandi centri abitati del nostro pianeta? Ciascuna teoria ha i suoi fautori e presenta i suoi problemi. Certi testimoni interrogati da Kulik, e in seguito da altri studiosi, riferirono di aver visto una palla di fuoco con una scia, una coda, il che potrebbe far pensare sia a una meteorite, sia a una cometa. Ma se l'oggetto abbattutosi sul bacino della Tunguska era una meteorite, che ne era stato del cratere e, cosa ancora più importante, del meteorite stesso? Né l'uno né l'altro furono trovati. E, se si trattava di una cometa, perché non era stata avvistata prima del suo arrivo? Inoltre, dato che le comete sono in prevalenza gassose, "palle di neve sporca", da dove provenne quell’immensa energia che fu sprigionata, e che fu stimata dell'ordine di 30 megatoni?
Gli esperti di fisica nucleare hanno da lungo tempo profetizzato la presenza di ciò che chiamano antimateria, ovvero immagini speculari della comune materia, ma con carica negativa. Tuttavia l’antimateria, così come noi la conosciamo, ha una vita estremamente breve. Una piccola massa che venisse a contatto con la comune materia provocherebbe, in effetti, un improvviso e tremendo rilascio di energia. Ma l'ipotesi non regge, perché e impossibile che masse di antimateria vaghino in questa parte dell'universo.
L'evento della Tunguska "potrebbe" essere stato causato da una nave spaziale extraterrestre, ma anche in questo caso mancano prove decisive. Alcuni ricercatori sovietici hanno rilevato tracce anomale di radioattività nel luogo devastato, altri no. Inoltre, un eventuale veicolo spaziale avrebbe dovuto rimaner completamente disintegrato nell'esplosione, perché non furono mai trovati frammenti metallici insoliti.
Le pareti sanguinanti
Gli agenti della squadra omicidi di Atlanta sono abituati alla vista del sangue. Il sangue nasce dalla particolare violenza del luogo, da persone uccise a colpi di arma da fuoco, a coltellate o a forza di percosse. Ma quei poliziotti non erano preparati alla vista di sangue "in assenza" di un cadavere, soprattutto di sangue che scaturiva dalle pareti e creava pozzanghere sul pavimento della casa di un'anziana coppia di coniugi georgiani, William e Minnie Winston, rispettivamente di settantanove e settantasette anni.
Minnie Winston notò prima il sangue che sprizzava dal pavimento della stanza da bagno "come se venisse da un annaffiatoio" quando, un giorno di settembre del 1987, entrò per fare il bagno in quella stanza della casa di mattoni con tre camere da letto, dove abitava con suo marito da ventidue anni. Il 9 settembre, poco dopo mezzanotte, quando i due coniugi trovarono altro sangue che gocciolava dalle pareti e imperlava il pavimento delle stanze, telefonarono alla polizia.
"Io non sanguino", precisò William Winston, "e nemmeno mia moglie. E qui viviamo soltanto noi due." Quella sera Winston era andato a letto verso le 21.30, dopo aver chiuso le porte e aver messo in funzione il sistema di allarme. Né lui né sua moglie avevano sentito rumori sospetti, e il sistema di allarme era sempre rimasto attivato.
Steve Cartwright, agente della squadra omicidi di Atlanta, ammise che la polizia aveva trovato "una grande quantità di sangue" spruzzato in tutta la casa, ma non vide nessun corpo, di animale o di essere umano, che potesse spiegarne l'origine. Il giorno dopo il laboratorio della scientifica dello stato della Georgia confermò che il sangue era umano.
Cal Jackson, il portavoce della polizia di Atlanta, dichiarò che il dipartimento considerava l'episodio "una circostanza insolita poiché non disponiamo di un cadavere o di un motivo che spieghi la presenza di tanto sangue".
Un caso di autocombustione
Certi dicono che la cucina è il posto più pericoloso della casa. Ma l'8 gennaio 1985 la diciassettenne Jacqueline Fitzsimons, studentessa di alta cucina presso l’Istituto Tecnico Hilton di Widnes, nel Cheshire, era uscita dalla cucina e stava conversando con delle compagne di classe nel corridoio quando improvvisamente s'incendiò.
Jacqueline accusò una sensazione di bruciore alla schiena mentre parlava con un'amica, Karen Glenholmes. "Tutt'a un tratto Jacqueline ha detto che non si sentiva bene", riferì Karen, "abbiamo sentito puzza di bruciato e abbiamo visto che la sua camicia si era incendiata. Si è messa a gridare aiuto perché stava ardendo. In un attimo anche i suoi capelli erano in fiamme."
Le insegnanti e le altre studentesse che si trovavano nel corridoio le strapparono di dosso gli abiti in fiamme e spensero il fuoco. Poi la ragazza fu trasportata in tutta fretta all'ospedale, dove si resero evidenti gli effetti devastanti dell'incidente: il fuoco aveva divorato il 18 per cento della sua pelle. Dopo quindici giorni, malgrado le cure intensive, morì.
Il funzionario della prevenzione incendi del Cheshire, Bert Gilles, ammise di essere perplesso come chiunque altro. "Ho interpellato sette testimoni oculari" disse "finora non esiste una chiara spiegazione del fuoco, anche se la combustione spontanea è una possibilità da prendere in esame."
Il coroner avviò un'inchiesta, e alla fine un giurì archiviò il caso stabilendo che Jacqueline Fitzsimons era morta "per disgrazia", il che era indubbiamente vero.
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