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modi di dire. perché si dice così?


A bizzeffe
Viene dalla lingua araba, dove bizzaf significa "molto".
E' anche interessante notare quanto dice il Minucci nelle "Note al Malmantile":
"Quando il sommo magistrato romano intendeva fare a un supplicante la grazia senza limitazione, faceva il rescritto sotto al memoriale, che diceva 'fiat, fiat' (sia sia) anziché semplicemente 'fiat', che scrivevasi quando la grazia era meno piena, dipoi per brevità costumarono di dimostrare questa pienezza di grazia con due sole 'ff', onde quello che conseguiva tal grazia diceva: Ho avuto la grazia a 'bis effe'".
A caval donato non si guarda in bocca
Il proverbio significa che dei regali dobbiamo sempre essere grati, anche se di scarso valore; e si dice così perché l'età di un cavallo si giudica guardando lo stato della sua dentatura, già 'lo stato' e non il numero dei denti. Non lo sapeva quel ragazzotto di campagna che andò al mercato ad acquistare un cavallo, e poiché il padre gli aveva raccomandato di osservare bene i denti dell'animale, si indignò nei confronti del mercante dicendogli: "Mi volete imbrogliare! Vendermi un cavallo di quarant'anni!". Tanti infatti sono i denti del cavallo adulto... e il ragazzotto li aveva contati...

Acqua in bocca
Il lessicografo Giacchi dà questa spiegazione. Si narra che una femminuccia, molto dedita alla maldicenza, ma anche devotissima, pregasse il suo confessore di darle un rimedio contro quel peccato. Il confessore insinuava conforti e preghiere, ma inutilmente. Un bel giorno diede alla donna una boccetta d'acqua del pozzo raccomandandole di tenerla sempre con sé e quando sentiva la voglia di 'sparlare' ne mettesse alcune gocce in bocca e ve le tenesse ben chiuse finché non fosse passata la tentazione. La donna così fece, e negli atti ripetuti trovò tanto vantaggio, che alla fine si liberò dal vizio dominante, e come fosse femmina di poco levatura tenne poi quell'acqua per miracolosa.


Alle calende greche
Nel calendario romano con la parola calende si indicava il primo giorno d'ogni mese, Ma questo era ignoto ai Greci. Perciò, fin da tempi remoti, si dice rimandare alle calende greche una faccenda, per intendere che essa non sarà fatta mai.

Andare a scopare il mare
Il senso di quest'espressione ­ anche se con molta probabilità è sconosciuta ai più ­ ci sembra intuitivo: cacciarsi in un'impresa che non avrà nessuna possibilità di successo; fare, insomma, un lavoro completamente inutile. Si adopera, per lo più, nella variante "mandare a scopare il mare" quando si vuole invitare una persona a togliersi di torno; mandandola, magari, a fare una cosa inutile ma eviterà ad altri di perdere tempo nel proprio lavoro. Si usa anche nei confronti di una persona che si invita a non dire sciocchezze o a farla desistere dal tenere comportamenti noiosi e, molto spesso importuni. Si usa, insomma, nei confronti di persone insistenti, noiose e fanfarone.

Avere il mal del prete
Si adopera quest'espressione quando si viene a conoscenza di segreti che, naturalmente, non si possono rivelare a nessuno e si è tormentati come lo è il prete allorché viene a sapere di fatti delittuosi confidatigli in confessione. L'origine di questo modo di dire ­ forse poco conosciuto ­ ci è "raccontata" dal Poliziano in una ballata: "Donne mie, voi non sapete, / ch'io ho il mal ch'avea quel prete. / Fu un prete (questa è vera) / ch'avea morto el porcellino. / Ben sapete che una sera / Gliel rubò un contadino / Ch'era quivi suo vicino / (altri dice suo compare); / Poi s'andò a confessare / e contò del porco al prete. / El messere se ne voleva / Pur andare alla ragione: / Ma pensò che non poteva, / Ché l'avea in confessione. / Dicea poi tra le persone: / Oimè, ch'io ho un male, / ch'io non posso dire avale. / Et anch'io ho il mal del prete".

Avere la coda di paglia
Un'antica favola racconta che una giovane volpe cadde disgraziatamente in una tagliola; riuscì a fuggire ma gran parte della coda rimase nella tagliola. Si sa che la bellezza delle volpi è tutta nella coda, e la poveretta si vergognava di farsi vedere con quel brutto mozzicone. Gli animali che la conoscevano ebbero pietà e le costruirono una coda di paglia. Tutti mantennero il segreto tranne un galletto che disse la cosa in confidenza a qualcuno e, di confidenza in confidenza, la cosa fu saputa dai padroni dei pollai, i quali accesero un po' di fuoco davanti ad ogni stia. La volpe, per paura di bruciarsi la coda, evitò di avvicinarsi alle stie. Si dice che uno ha la coda di paglia quando ha commesso qualche birbonata ed ha paura di essere scoperto.

Aver mangiato noci
Ecco uno dei tanti modi di dire della nostra lingua poco conosciuto ma "molto" adoperato da tutti coloro che nel corso della loro vita ­ loro malgrado ­ hanno avuto a che fare con i "mangiatori di noci" che, in senso figurato, si dice di persone che sono sempre mal disposte e di animo cattivo nei confronti di tutti quelli che, al contrario, cercano di assecondarle in tutto e per tutto. "Mangia noci", insomma, colui che parla sempre male di tutti. La locuzione è chiaramente una metafora, vale a dire un modo figurato: le noci ­ è noto a tutti ­ fanno l'alito cattivo e di conseguenza anche le ... parole che escono dalla bocca di coloro che le hanno mangiate. Il modo di dire, quindi, fuor di metafora o di sarcasmo, significa "possedere un animo cattivo" e "sparlare di qualcuno". Un bellissimo esempio di quest'espressione ­ ripetiamo, poco conosciuta ­ si può leggere nel Cecchi: "Be' Crezia / Tu ti sei risentita in mala tempra; / Oh sì, iersera tu mangiasti noci / Che t'ànno fatto sì cattiva lingua".

Bagnare il naso
L'origine dell'espressione è piuttosto brutta! Nelle antiche scuole torinesi, il maestro chiamava il discepolo più bravo perché bagnasse, col dito intinto nella saliva, il naso del compagno che aveva commesso un grave errore. Talvolta era lo stesso maestro che compiva questa bella funzione.

Calma e gesso!
Questo non è propriamente un modo di dire ma un'esclamazione con la quale si invita una persona a non prendere delle decisioni affrettate delle quali, in futuro, potrebbe pentirsi; ma, al contrario, valutare con la massima attenzione una determinata situazione per affrontarla nel modo migliore e "goderne", eventualmente, i benefici.
Gli appassionati del gioco del biliardo dovrebbero conoscerla bene. Prima di un tiro particolarmente difficile, i giocatori esperti valutano con la massima calma la posizione delle biglie e strofinano con il gesso la punta della stecca al fine di renderla "uniforme" ed essere sicuri, quindi, di riuscire ad effettuare al meglio il tiro studiato attentamente.

Campa cavallo
Si racconta che un povero diavolo portava a mano un cavallo vecchio, stanco, sfinito, per una strada sassosa dove si vedeva appena, di quando in quando, un misero filuccio d'erba. Il cavallo stava per cadere, sopraffatto dalla fame e il padrone cercava d'incoraggiarlo dicendogli: "Non morire, cavallo mio, tira avanti ancora per un po'; campa finché crescerà l'erba e potrai sfamarti".

Chi ha fatto trenta può fare trentuno
Papa Leone X, il 1º luglio 1517 creò trenta nuovi cardinali; poi gli parve che un altro prelato fosse pure degno di quell'onore e nomino cardinale anche lui. A coloro che si meravigliarono del fatto che il papa, che aveva deciso di fare trenta cardinali, ne avesse poi fatto uno di più, Leone X rispose "Chi ha fatto trenta può fare trentuno".

Ciao
In passato esisteva il saluto deferente schiavo (per dire: 'servo suo'); poi, specialmente nella regione veneta, si abbreviò la parola in s-cio. In seguito si è trasformata in ciao. Ma il saluto, che prima era ossequioso, è diventato, invece, il più confidenziale. Fino a circa un secolo fa, la parola era usata solo nell'Italia settentrionale.

Ciurlar nel manico
Se la lama di un coltello o di altro simile arnese non è ben inserita nel manico o se ne è staccata per il lungo uso, l'arnese diventa inservibile, perché la lama perde ogni resistenza girando (ciurlando) nel manico. Perciò quando una persona o una cosa risulta incerta e non affidabile si dice che ciurla nel manico.

Dare botte da orbi
Anche nell'ira, colui che picchia, può darsi che abbia qualche riguardo per non fare troppo male; ma un cieco, no! Lui non sa dove batte e colpisce senza pietà e misura.

Dar le mele a una persona.
Quest'espressione ­ forse non molto conosciuta ­ si adopera allorché si vuole dare una particolare rilevanza al fatto che due persone se le sono date di santa ragione e una, in particolare, è stata picchiata con un bastone. Ma cosa ha a che vedere il bastone? Semplice. Questo 'arnese' viene adoperato per "picchiare" l'albero allo scopo di far cadere le mele. In senso metaforico o figurato questa locuzione si usa quando si "picchia" moralmente una persona: in fatto di destrezza tuo fratello ti dà le mele.

Do ut des
Proverbio latino, che significa "do affinché tu dia". E' il proverbio degli egoisti.

Essere al verde
Significa "essere a corto di denaro". Per molto tempo si è usato appaltare i servizi pubblici per mezzo di un'asta. Il banditore accendeva una candela la cui base era tinta di verde. Finché la candela non era arrivata al verde, era lecito fare offerte; dopo, non più.
Secondo altra interpretazione, l'espressione si riferisce semplicemente al fatto che le candele avevano la base tinta di verde.
Fare fiasco
Anticamente c'era a Firenze un artista comico che, ogni sera, si presentava tenendo fra le mani un oggetto nuovo; e su questo oggetto improvvisava versi buffi che facevano ridere il pubblico. Una sera si presentò con un fiasco, ma i versi non piacquero e ci fu un concerto di fischi. Da allora in poi si disse far fiasco per non riuscire in qualche cosa.

Far forno
Gli amanti del teatro dovrebbero conoscere quest'espressione che è propria, appunto, del gergo teatrale. Per la spiegazione e l'origine della locuzione ricorriamo a un dialogo immaginario tra padre e figlio.
Peppino non era più in sé per la gioia: il padre gli aveva promesso che il giorno del suo compleanno lo avrebbe condotto a teatro e sarebbe stata la prima volta che il fanciullo avrebbe assistito, "dal vivo", a una rappresentazione del genere. L'attesa, quindi, era spasmodica. Quel giorno, finalmente, arrivò. "Sbrigati Peppino, oggi è il giorno in cui il teatro 'fa forno', la sala sarà tutta nostra, nessuno ci disturberà, vedrai come staremo bene. Il giovinetto, lì per lì, restò interdetto; pensò che il teatro in quel giorno si sarebbe trasformato in una ... pizzeria, e lui non aveva voglia di mangiare una pizza, voleva andare a teatro, come promessogli dal padre. Si fece coraggio e chiese spiegazioni. "Papà, veramente mi avevi promesso che saremmo andati a teatro, non a mangiare una pizza; perché hai cambiato idea?". "Sciocchino ­ ribattè il padre ­ andiamo a teatro, stai tranquillo, e la sala sarà tutta per noi perché 'fanno forno' ", appunto.
Nel gergo teatrale, dunque, "far forno" significa 'rappresentare a teatro vuoto'. Quest'espressione è un calco sul francese 'faire (un) four' e, pare, si adoperasse quando la sala era quasi vuota e, accomiatati i pochi spettatori presenti, si spegnevano le luci rendendola in tal modo scura, buia come un forno".

Fare il portoghese
(Non pagare il biglietto). L'origine dell'espressione risale al secolo XVIII: l'ambasciata del Portogallo a Roma, per festeggiare un avvenimento, aveva indetto una recita al teatro Argentina per la quale non erano stati distribuiti i biglietti d'invito; bastava presentarsi come "portoghesi". (Dal Dizionario Enciclopedico Italiano).


Fare la cresta sulla spesa
Anticamente si chiamava agresto un condimento asprigno che si ricavava dall'uva poco matura e i contadini, quando coglievano l'uva poco matura per far l'agresto, coglievano anche un po' di quella buona che avrebbero invece dovuto portare al padrone; e si diceva far l'agresto per indicare questa piccola ruberia. In seguito, far l'agresto è diventato far la cresta.

Fare una cosa di soppiatto
L'espressione significa "agire furtivamente, di nascosto". Non tutti sanno, forse, qual è il significato proprio di "soppiatto". E' un aggettivo che si adopera esclusivamente nelle locuzioni simili: uscire di soppiatto; entrare di soppiatto, ecc. e propriamente vale "appiattandosi". E' composto con il prefisso "so(b)" ­ che è il latino "sub" (sotto) ­ e l'aggettivo "piatto" ­ che è tratto dal latino medievale "plattus" ('largo', 'aperto') ­ quindi "schiacciato". La persona che entra di soppiatto, quindi, figuratamente si "appiattisce", si "schiaccia" per ridurre il volume e non farsi notare.

Fare un tiro mancino
Se pensiamo che uno voglia colpirci, istintivamente teniamo d'occhio la sua destra; se il colpo ci viene invece dato con la sinistra, diventa più pericoloso, perchè inaspettato.

Il capro espiatorio
Gli Ebrei avevano anticamente una strana usanza. Mosè aveva ordinato che ogni anno si celebrasse l'espiazione dei peccati. Nel giorno designato, il sommo sacerdote prendeva due capri: il primo veniva sgozzato e il sacerdote lo caricava, simbolicamente, di tutti i peccati suoi e del popolo; l'altro veniva mandato via perché si disperdesse nel deserto e non tornasse mai più. Il primo si chiamava capro espiatorio, il secondo capro emissario.; l

Il pomo della discordia
Gli antichi credevano che ci fosse una dea, figlia della Notte, sorella di Nèmesi (vendetta) e delle Parche (brutte vecchie dalle mani artigliate). Questa dea, amica di Marte, si chiamava Discordia e faceva onore al suo nome aizzando continuamente litigi, pettegolezzi e malignità. Giove, sereno e tollerante come tutti i grandi, la sopportò per un bel po' ma alla fine perse la pazienza e scacciò Discordia dal cielo. Rabbiosa per questo smacco, Discordia cercò ogni occasione per vendicarsi. Quando ci fu il matrimonio di Teti (dea del mare) e Peleo (semplice mortale) furono invitati dee e dei, uomini e donne, ma certo non fu invitata madama Discordia. Al culmine della festa, lei getto sulla tavola una mela d'oro su cui era scritto: "alla più bella". Le dee più belle presenti al banchetto erano tre: Giunone, Minerva e Venere. Ciascuna pretese la mela per sé e nacque un putiferio, la pace della festa fu turbata e l'allegria finì. Le tre dee si rivolsero ad un pastorello, Paride, perché decidesse quale fra loro fosse la più bella e Paride scelse Venere. Le altre due non si rassegnarono e da ciò derivò un mondo di guai.

La pietra dello scandalo
Al tempo dei Romani, quando un disgraziato commerciante falliva, doveva sedersi su una pietra e dir forte ai suoi creditori: Cedo bona ossia 'cedo i miei averi': Dopo ciò, i creditori non avevano più diritto di molestarlo. La pietra, testimone del fatto doloroso, si chiamava pietra dello scandalo.

L'uovo di Colombo
Si racconta che dopo che Cristoforo Colombo scoprì l'America, ci furono tante persone che cercavano di sminuire la sua impresa dicendo che non era poi stato una gran che. Sembra che un giorno Cristoforo Colombo avesse attorno a sé parecchi di tali contestatori e domando loro:"Chi di voi è capace di fare star ritto un uovo?" Tutti ci provarono ma nessuno ci riuscì: Allora Colombo prese l'uovo, lo schiacciò da un lato e la cosa risultò facilissima...

Lupus in fabula
Anche se adesso questo detto ha assunto una valenza un po' diversa, originariamente stava a significare l'arrivo di una persona che ci impedisce di parlare su un certo argomento. Questo perché nelle antiche favole si parlava sempre del lupo come di animale pericolosissimo; si diceva che la sua presenza togliesse la parola agli uomini, facendoli ammutolire dallo spavento.

Mangiare la foglia
In origine l'espressione era "aver mangiato la foglia" con il significato di 'capire al volo'; intendere prontamente il senso del discorso; capire subito le intenzioni altrui. Fra le tante spiegazioni, quella che dà Ugo Enrico Paoli sembra la più convincente. Egli considera la foglia come un collettivo: più foglie che si fanno mangiare agli animali vaccini. Questi si dividono in due gruppi: i lattanti che prendono il nutrimento dalla poppa materna e le bestie adulte che hanno già cominciato a mangiare la ... foglia. Secondo il Paoli, quindi, il senso pratico del mondo contadino ha associato alla locuzione "aver mangiato la foglia" il concetto di saggezza.

Mangiar le noci col mallo
Riferita a una persona che dice male di un'altra ancora più maldicente. Benedetto Varchi, nel suo "Ercolano", così spiega il modo di dire (anche questo poco conosciuto, per la verità): "Di coloro che hanno cattiva lingua, e dicon male volentieri, si dice: 'egli ha mangiato noci', benché il volgo dice 'noce'; e 'mangiar le noci col mallo' (l'involucro della noce, della mandorla e di frutti simili, ndr) si dice di quegli che dicon male e cozzano con coloro i quali sanno dir male meglio di essi, di maniera che non ne stanno in capitale, anzi ne scapitano, e perdono in di grosso".

Non esser della parrocchia
Non far parte di un gruppo, di una combriccola; essere, insomma, un "estraneo", in particolare riferito a colui che volontariamente si tiene fuori dalle discussioni e da ambienti che non gli "aggradano". L'aneddoto di un autore ignoto tenta di dare una spiegazione circa l'origine del modo di dire: "Si narra che un sacerdote, durante la predica, allo scopo di sollevare il morale un po' depresso dei suoi fedeli si mise a raccontare qualcosa di molto divertente che provocava frequentissimi sorrisi negli astanti. Uno soltanto, in fondo alla navata, ascoltava impassibile, come se fosse 'estraneo' all'ambiente. Un fedele, incuriosito, non poté trattenersi dal chiedergli spiegazioni del suo strano comportamento. 'Mi perdoni ­ l'apostrofò ­ perché mai lei non ride?'. E quest'ultimo, con assoluta cortesia, 'perché non sono della parrocchia'; volendo dire, probabilmente, che non capiva a cosa si riferissero le spiritose battute del sacerdote, non conoscendo né il posto né la gente".

Ovazione
Si dice che viene tributata un'ovazione ad una persona quando viene acclamata dalla folla, con applausi, ecc. Secondo i Romani, quando uno era degno di onoranze, lo si faceva procedere a piedi o a cavallo con una toga ricamata e incoronato di mirto, fra le ali della folla. Poi in suo onore veniva sacrificata una pecora; e proprio dal nome di quest'animale (ovis = pecora) la cerimonia si chiamava ovazione.

Per filo e per segno
Un tempo, gli imbianchini sul muro e i segantini sul legno usavano 'batter la corda', ossia tenevano sul muro o sul legno un filo intinto di una polvere colorata e poi lo lasciavano andare di colpo, in modo che ne rimanesse l'impronta. Tale impronta o segno indicava la linea da seguire nell'imbiancare o nel segare. Da lì è derivato l'uso di dire per filo e per segno per intendere 'ordinatamente, con sicura esattezza'.

Piantare in asso
L'espressione non è altro che la deformazione popolare della locuzione "piantare (o lasciare) in Nasso", un'isola greca dove - secondo la mitologia - Teseo, il "giustiziere" del Minotauro, avrebbe abbandonato ("piantato") la sposa Arianna dopo che costei l'aveva aiutato a condurre in porto l'impresa con il suo celeberrimo "filo".

Prendere il lato alla predica
Questo modo di dire - per la verità poco conosciuto - si tira in ballo quando si vuole mettere bene in evidenza il fatto che per raggiungere un determinato fine occorrono "astuzia", "sveltezza", "accortezza" eþ "occhio" per non cadere in fallo. L'espressione trae origine dall'antica usanza dei fedeli che si recavano in chiesa ad ascoltare la predica e cercavano di prendere il "lato", vale a dire il posto migliore per poterla ascoltare meglio. Naturalmente si faceva molta fatica perþ trovarlo, bisognava, quindi, essere svelti per non lasciarsi sopraffare dai più zelanti e non correre il rischio di rimanere in fondo alla Chiesa dove la "vista" e l' "udito" non erano appagati. Con il trascorrere del tempo la locuzione ha assunto il significato - più generico - di "usare qualunque accorgimento per raggiungere, in pace, un determinato scopo".

Prendere una cantonata
Se chi guida un carro fa una curva troppo stretta, urta col mozzo della ruota contro l'angolo di una strada e può accadere un guaio. Perciò, prendere una cantonata in senso figurato significa commettere un errore, prendere un abbaglio.

Questione di lana caprina
Le pecore hanno la lana, ma le capre hanno il pelo o la lana? Può essere una questione importante! Quando si vuol criticare qualcuno che sottilizza, arzigogola su argomenti futilissimi, si dice che perde tempo intorno a questioni di lana caprina

Raccogliere i broccoli
Questa locuzione pur essendo ­ con molta probabilità ­ sconosciuta ai più, è messa in pratica da molte persone, soprattutto nei posti di lavoro. Chi raccoglie i broccoli, dunque, naturalmente in senso figurato? Colui che si diverte a divulgare pettegolezzi e maldicenze nei confronti di tutti. L'espressione sembra faccia riferimento ai discorsi delle massaie le quali, quando vanno a "raccogliere i broccoli", cioè al mercato, si scambiano notizie e pettegolezzi su tutto e per tutti. Cari amici, quanti "raccoglitori di broccoli" vi è capitato d'incontrare durante la vostra vita?

Restare di sale
Nella Bibbia si narra che durante il fuoco celeste deciso dal Signore per distruggere la città di Sodoma, Dio ordinò ai fuggiaschi di andare via senza mai volgersi indietro per nessun motivo a guardare la distruzione. La moglie di Lot (nipote di Abramo), vinta dalla curiosità, si voltò e fu trasformata in una statua di sale.

Salamelecco
In arabo, Salam aleik significa 'pace a te' ed è una bella forma di saluto, ma poichè di solito è accompagnata da gesti pieni d'ossequio, gli Italiani, traducendo con la parola salamelecco (usata quasi sempre al plurale) hanno aggiunto ad essa l'idea di inchini, riverenze e smorfie ridicole.

Stare a martello
Vale a dire resistere alla censura. L'espressione ci sembra non abbisognevole di spiegazioni essendo di origine intuitiva: colui che riesce a "sfuggire" alla censura vuol dire che ha degli argomenti che non si "rompono" - ovviamente in senso metaforico - sotto i colpi del martello. Il modo di dire vale anche "corrispondere al vero". In questo caso la locuzione fa riferimento al cimento dell'argento: quando non resiste ai colpi del martello vuol dire che non è sincero. Di qui, per l'appunto, l'uso figurato dell'espressione.

Tabula rasa
Si sa che gli antichi scrivevano su tavolette. Quando poi volevano usar di nuovo la tavoletta, facevano scomparire lo scritto precedente radendolo. Tabula rasa significava appunto la tavoletta da cui lo scritto era stato fatto scomparire.

Voce stentorea
Si dice così per indicare una voce fortissima, fragorosa, perché Omero racconta di un principe greco, Stèntore, che aveva una voce così potente come quella di cinquanta persone riunite.

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