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IL GOLEM

IL GOLEM

Il Golem e la sua leggenda hanno origini molto più antiche di quanto si possa immaginare.
Il termine fa la sua prima apparizione nella Bibbia (antico Testamento, Salmo 139, 16) per indicare una massa ancora priva di forma, ed è presente nei libri fondamentali della mistica ebraica, lo Zohar (Il libro dello splendore) del XIII secolo, e il Sefer Jezira (Il libro della creazione).

Apriamo qui una parentesi per ricordare che secondo la Kabbala (volgarizzazione della mistica ebraica) la creazione del mondo è avvenuta per un processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino.

Il principio fondamentale di tale concezione mistica considera ogni elemento del creato come derivato dalla composizione e scomposizione dei numeri e delle lettere dell'alfabeto ebraico, in particolare di quelle che compongono il nome di Dio.

Così scrive Gershom Scholem:

"Dio ha creato tutte le cose per mezzo delle trentadue 'meravigliose vie della sophia'. Queste vie sono costituite dai dieci numeri originari, qui chiamati sefirot, che sono le potenze fondamentali dell'ordine della creazione, e dalle ventidue lettere, cioè dalle consonanti, che sono gli elementi di base di tutto il creato"

Gershom Scholem, Il Nome di Dio e le teoria cabbalistica del linguaggio, Adelphi, Milano, 1998, trad. di Adriano Fabris, p. 30

La parola è quindi considerata come elemento di base e principio creativo dell'universo.
Questo si ricollega direttamente al Golem: esso prende vita dal nome di Dio o da altre lettere (con valore e significato particolare) che gli vengono o scritte in fronte o, scritte su un foglio, infilate in bocca; col procedimento inverso è possibile invece farlo 'morire', togliergli vita e movimento.

Sulla base di questi precedenti della tradizione sono sorte nel corso dei secoli diverse leggende, talvolta versioni diverse della stessa leggenda. Nelle sue diverse interpretazioni il Golem è stato ora un fedele servitore domestico e difensore del suo padrone, ora un difensore degli ebrei dalle persecuzioni, per arrivare alle sue derivazioni più moderne: l'automa robotico, o il mostro alla Frankenstein.

>> Nel XIII secolo esisteva una tradizione che si richiamava al IV secolo A.C. secondo cui il Golem, che aveva scritto in fronte il nome di Dio, prendeva vita aggiungendo ad esso la parola "verità", cosicchè ne risultava la frase "Dio è verità". Cancellando dalla frase una delle lettere, la aleph, la parola che restava significava "morto" (e la frase diventava "Dio è morto"), e il Golem diventava inerte. >> Nella Polonia del '600 la leggenda, documentata in una lettera datata 1674, raccontava di un Golem che crebbe a dismisura, diventando una minaccia ingovernabile per il suo padrone. Allora questi, il Rabbi Elija Ba'al Schem di Chelm, pretese che il Golem gli togliesse le scarpe, e nel mentre gli cancellò dalla fronte l'aleph. Il Golem 'morì' e ricadde su se stesso, travolgendo però il Rabbi con la sua massa informe.

>> La leggenda più nota è quella ambientata nel ghetto di Praga che attribuisce la creazione del Golem al Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel, ai tempi dell'Imperatore Rodolfo II, cioè alla fine del '500 - inizi del '600.
Si tratta in realtà della saga polacca del Rabbi Elija Ba'al Schem di Chelm, che a posteriori, cioè nel '700, venne attribuita al rabbino di Praga: in questa versione il Golem era un protettore del popolo ebraico dalle persecuzioni.
Il motivo dell'attribuzione a posteriori della creazione del Golem al rabbi nella Praga di Rodolfo II fu probabilmente la diffusa atmosfera di celebrazione e mitizzazione della figura dell'Imperatore (e del Rabbi Löw stesso) durante il '700: cultore di scienze occulte e protettore degli ebrei egli aveva condotto nei loro confronti una politica illuminata dando inizio ad un periodo di espansione e fioritura delle loro attività.
>> Un articolo di Jakob Grimm scritto nel 1808 ("Entstehung der Verlagspoesie") e pubblicato nella rivista ufficiale del Romanticismo di Heidelberg, lo "Zeitung für Einsiedler" di Achim von Arnim, riprese e rese famosa la leggenda del Golem (nella versione polacca), e da allora essa entrò nella tradizione popolare. L'articolo di Grimm le diede un canone di ufficialità evidentemente non giustificata dai fatti, essendo la leggenda pre-esistente, ma a lui va senz'altro riconosciuto il merito della sua diffusione popolare. >> Gershom Scholem nell'ultimo capitolo di "La Kabbalah e il suo simbolismo" fa un excursus di queste leggende, e puntualizza come il famoso "Golem" di Meyrink (il libro fu pubblicato nel 1915 e divenne subito famosissimo contribuendo a diffondere la leggenda) abbia poco o nulla a che fare con la tradizione ebraica. Sembrerebbe piuttosto un insieme di leggende, credenze magiche e superstizioni da romanzo gotico o pre-espressionista.
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In letteratura

Il Romanticismo di Heidelberg vide non solo l'articolo già citato di Jakob Grimm, ma anche "Isabella von Aegypten" di Achim von Arnim, in cui compare l'unico Golem femminile della storia.

Gli scritti sul tema furono innumerevoli. Tra i più noti:

Judah Rosenberg, Niflaot Marahal, 1909

Gustav Meyrink, Il Golem, 1915

Chaim Bloch, Il Golem di Praga, 1919

Jorge Luis Borges, El Golem, 1958

Paul Celan, Einem, der vor der Tür stand, 1964

Johannes Urzidil, La mistica del Golem, 1965, in: Di qui passa Kafka, Adelphi

Elie Wiesel, Il Golem, 1999

Le sue derivazioni

Di derivazione 'golemica', o almeno così li si considera, sono gli automi che fioriscono nella letteratura (e poi nel cinema), a partire da

Frankenstein di Mary Shelley del 1818

per arrivare al dramma di Karel Capek, RUR, dove l'acronimo sta per "Rossum's Universal Robots" (1921).

Questa 'tradizione' è arrivata fino ad oggi con

Norbert Wiener, God and Golem (1964)

il discorso di Gershom Scholem per l'inaugurazione del computer che venne denominato "Golem n. 1"

Stanislaw Lem, Also sprach Golem (1981).
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Al cinema

Tre film di Paul Wegener intorno agli anni '20 consacrarono la popolarità del Golem, a corollario del suo successo letterario.

Del 1914 è Der Golem, del 1917 Der Golem und die Tänzerin, del 1920 Der Golem: wie er an die Welt kam


Johannes Urzidil

La mistica del Golem

"Se si vuole cogliere l'atmosfera satura di mistero dalla quale sortì Kafka è importante considerare il fondamento reale ed esoterico del mito del Golem, nonchè gli sforzi profusi durante il Rinascimento per assoggettare la materia originaria e dar vita all'uomo artificiale".

In questo saggio, cha fa parte di "Di qui passa Kafka", Urzidil collega il mito del Golem ai tentativi esoterici di creare l'uomo artificiale, dall'homunculus faustiano (che ha origini più antiche di quello di Goethe, risalendo ad un' "Historia" di Faust ambientata a Praga a fine '500) a quello di Paracelso ("De generatione rerum naturalium"), alle possibili influenze del mito del Golem su Goethe che scriveva "L'apprendista stregone", e ne rintraccia le origini nella più antica tradizione ebraica, per arrivare alla Praga (ebraica) di Rodolfo II. Riporta inoltre la leggenda della creazione del Golem da parte del Rabbi Loew ben Bezalel, che aveva funzione di domestico e di protettore degli ebrei, e che fu definitivamente fatto 'morire' quando un editto dell'Imperatore vietò la persecuzione degli ebrei, rendendo superflua la sua opera - così i suoi resti furono deposti nella soffitta della sinagoga Vecchio-Nuova. Ricostruisce l'atmosfera magica di allora, quando gli alchimisti di corte lavoravano alla ricerca della pietra filosofale, e traccia un parallelo con alcuni autori del '900 e con le atmosfere e le creature kafkiane, sorte a suo parere dalla medesima aura.
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Il Golem di Praga

Nel XVI secolo, durante il regno di Rodolfo II, viveva a Praga un vecchio ebreo di nome Rabbi Judah Loew. A quel tempo, gli ebrei a Praga vivevano nella paura in quanto vittime di continue aggressioni. Rabbi Loew decise di proteggere gli ebrei dal massacro dando vita al Golem, un gigante che secondo la Cabala poteva essere generato dall'argilla che si trovava sulle rive della Moldava. Seguendo i rituali prescritti, il Rabbino creo il Golem e lo porto in vita recitando uno speciale incantesimo in ebraico. La parola "emet" (verità) fu posta sulla fronte del gigante d'argilla.

Il Golem avrebbe obbedito ad ogni ordine del Rabbino e avrebbe aiutato e protetto la popolazione del Ghetto ebraico. Col tempo il Golem si fece sempre più grande ma anche sempre più violento e comincio ad uccidere e a spargere il terrore. Al Rabbi Loew venne promesso che la violenza contro gli ebrei sarebbe cessata se il Golem fosse stato distrutto. Il Rabbino acconsenti. Eliminando la prima lettera dalla parola "emet", facendola così diventare "met" (morte), venne tolta la vita al Golem. Secondo la leggenda, il Golem fu riportato di nuovo in vita dal figlio del Rabbi Loew e potrebbe ancora oggi vegliare su Praga.
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GOLEM, TRA LEGGENDA, ARTE E SCIENZA..
Miti dell’origine dell’uomo e dell’uomo-robot

Il mistero della vita ha sempre suggestionato l’essere umano, come l’idea di riproduzione di esseri quasi-umani

In principio, prima del dna e dei cloni, fu il fango, e il fulmine. Genesi: “Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò alle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente". Corano: “Noi creammo l’uomo dall’argilla secca, impastandola coll’ acqua". Pure “con acqua e terra Prometeo plasmò gli uomini", secondo Apollodoro e Ovidio.

Ma nel mito greco il creatore dell’umanità non era un dio supremo, bensì un titano ribelle, che per giunta diede poi alla sua creatura il fuoco rubandolo all’Olimpo. Le guide turistiche nelle Catacombe contrappongono spesso l’immagine cristiana del defunto che si affida fiducioso a Dio a quella pagana di Prometeo che stringe i pugni contro il cielo. Eppure Tertulliano e Agostino considerarono Prometeo una prefigurazione del Cristo.

“Polvere sei e polvere ritornerai", ricorda la liturgia cattolica. Ma per il Popol Vuh, libro sacro maya, gli dèi provarono sì a modellare i primi uomini di terra e fango. “Fecero un corpo, ma non sembrava loro molto riuscito. Si spezzava, si sbriciolava, si rammolliva, si disintegrava e si scioglieva". Riprovarono quindi con “sculture di legno", che però si dimenticarono dei loro creatori, e furono così distrutti dal diluvio universale. Salvo pochi scampati, che diedero origine al popolo delle scimmie. “E’ per questo dunque che le scimmie somigliano agli uomini: sono il segno di un precedente tentativo di costruzione umana, di un progetto di umanità – meri manichini, mere sculture di legno".

Infine gli dèi capirono che la materia prima giusta era il mais. Lo macinarono sette volte, lo impastarono, e generarono così i maya, “con solo mais giallo, mais bianco per la carne". Curiose premonizioni darwiniane si mescolano in questo mito a una polemica neanche troppo velata contro gli inutili “uomini di terra" creati dal Dio degli invasori bianchi. Ma anche i Black Muslims americani di oggi credono che gli europei siano il frutto di un empio esperimento genetico compiuto 6000 anni fa dall’"erudito degli inferi" Yaqub.

Nei secoli, rabbini e cabalisti si sforzarono di penetrare il segreto dell’"alito" che aveva infuso nella terra la vita, finché intorno all’anno 1000 Eleazar di Worms dettò una specie di “ricetta". Subito, presso le comunità ebraiche dell’Europa Orientale iniziarono a comparire leggende sul “Golem", simulacro umano di fango che alcuni sapienti rabbini avrebbero saputo animare col tracciare sulla loro fronte i caratteri sacri alif, mem e thaw.

Un millennio di tradizioni orali, libri, opere teatrali, e film hanno costruito una complessa epopea in cui il Golem è spesso difensore degli ebrei da pogrom e persecuzioni, ma cresce troppo, sfuggendo spesso al controllo dei suoi creatori. In questo caso, bisogna farlo inginocchiare per cancellargli la alif dalla fronte, e ridurlo così in polvere. Nel 1958 Jorge Luis Borges scrisse su questo mito una dissacrante poesia, in cui peccato del Golem non è d’esser ribelle, ma solo irrimediabilmente tonto.


Una ricetta per fabbricare l’uomo è anche quella del medico alchimista Paracelso, “il Lutero della medicina" del XVI secolo. Ma qui, rispetto a Eleazar di Worms, respiriamo già un’atmosfera quasi scientifica. “Se la fonte di vita, chiusa in un’ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzata, comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico.

Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante, prenderà l’aspetto di un bambino umano, con tutte le membra sviluppate come ogni bambino nato di donna, ma molto più piccolo". Questo homunculus, sorprendente antenato della fecondazione in provetta, farà ancora capolino nel 1832 dal “laboratorio alla maniera del Medio Evo" di Wagner, tra le pagine del Faust di Goethe. “Ti saluto babbino! Come va? Generarmi non fu cosa da nulla. E, dunque, vieni! Su, stringimi al cuore proprio con tenerezza. Ma non troppo, però, dacché potrebbe volare in pezzi il fragile cristallo".

Già da 14 anni, però, è stato scritto il Frankenstein, Prometeo moderno, dell’allora appena 21enne Mary Shelley, moglie del famoso poeta. Fu lei stessa a raccontare come quella cupa storia fosse nata da un incubo, dopo aver ascoltato una conversazione tra il marito e Byron sugli esperimenti del dottor Darwin, nonno del teorico dell’evoluzione, “che aveva conservato un pezzetto di verme in un contenitore di vetro fino a quando, per qualche straordinaria ragione, iniziò a muoversi di moto volontario… forse un cadavere poteva essere rianimato; il galvanismo aveva dato adito a tali possibilità".

Il suggerimento implicito del libro sarà poi esplicitato nella scarica di fulmine che nelle trasposizioni cinematografiche dà vita ad un mostruoso collage di pezzi di cadavere. Il Frankenstein di Mary Shelley ha sì l’intelligenza dell’homunculus, ma il corpo sgraziato e ribelle del Golem. “Non esiste alcuna colpa, misfatto, malvagità o sofferenza che si possa paragonare alle mie", si lamenta il mostro.

“Quando scorro la serie spaventosa dei miei peccati, non posso credere di essere la stessa creatura i cui pensieri una volta erano colmi di visioni sublimi e trascendentali di bellezza e della maestosità del bene". Anima sensibile sconvolta dal rifiuto dell’umanità verso la sua diversità, purtroppo già nella riduzione teatrale fatta nel 1823 da Richard Brinsley Peake la “creatura" perde questa tragica complessità, per ridursi al bamboccione tutto grugniti e barcollamenti poi travasato al cinema.

In Frankenstein Mary Shelley rivela però un’insospettabile vena di moralista bacchettona. Il mostro, spiega, “era spaventoso, perché spaventoso in modo supremo sarebbe stato il risultato di ogni tentativo umano di parodiare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo". Malgrado il titolo, Frankenstein è dunque un anti-Prometeo, la cui potente forza di suggestione lancerà tutto un filone di variazioni sul tema dell’inevitabile catastrofe.

Naturalmente, distruggono l’umanità che li ha creati gli automi di R.U.R.: dramma del 1920 del ceco Karel Capek che è oggi pressoché dimenticato, ma che ha dato alla letteratura e alla tecnologia la parola “robot". Dalla radice slava che significa “operaio". E scappa di mano anche la Maria-robot dell’anno 2000, immaginata nel 1927 nel film di Fritz Lang Metropolis, per non parlare poi di Hal, il robot assassino di 2001 Odissea nello Spazio. Ma in mezzo a tanta paranoia è poi proprio il paranoico Philip Dick a riscattare in un suo racconto la disperata voglia di umanità degli androidi ribelli poi trasposta nel film Blade Runner.

Altre immagini non convenzionali arrivano dall’ateo Isaac Asimov, che non solo elabora le famose “tre leggi della robotica" per regolare la morale degli androidi, ma nel Ciclo della Fondazione arriva a fare di alcuni esseri artificiali e immortali un surrogato di Divinità, a tutela provvidenziale dell’uomo. Mentre Charles Beaumont ci descrive invece un prete cattolico che, dopo un’angosciosa esitazione, acconsente infine a impartire l’estrema unzione a un morente che gli ha confessato di essere un automa, dotato di autocoscienza per colpa di un incidente di laboratorio. Allo stesso modo, il cacciatore di nazisti Wiesenthal uccide il medico pazzo di Auschwitz Mengele nei “Ragazzi venuti dal Brasile", bizzarro ma avvincente film del 1978 in cui due personaggi veri sono trasfigurati in figure da duello di super-eroi.

La nascita del Transumanesimo

Ieri e l'altro ieri la mitologia e l'arte hanno rappresentato ciò che oggi, con il Transumanesimo ed i principi Estropici, rappresenta la Scienza "di domani" ovvero la capacità di migliorarsi di un sistema. Come gli umanisti, i transumanisti hanno una visione razionale della vita volta a mettersi in controllo della nostra esistenza senza credenze dogmatiche di nessun tipo; sono per il progresso e valori centrati sul proprio benessere, piuttosto che su di una autorità religiosa esterna, spingono l'umanesimo verso la sfida alle limitazioni della specie umana con l'uso di scienza, tecnologia, creatività e pensiero critico.

Sfidano l'inevitabilità dell'invecchiamento e della morte, perseguono la crescita ininterrotta delle nostre capacità intellettuali e fisiche, nonchè il continuo sviluppo emotivo. Vedono l'umanità come una fase di transizione nella continua evoluzione della vita intelligente. Sono a favore dell'uso di metodi scientifici per rendere possibile il passaggio dalla condizione umana a quella transumana e postumana. Come ha detto il fisico Freeman Dyson: "L'umanità mi sembra uno splendido inizio, ma non sarà certo la fine."

I Principi Estropici intendono solamente offrire una piattaforma filosofica in continua evoluzione da cui affrontare la condizione umana, dedicata ad affrontare la vita in maniera razionale ed efficiente, senza la zavorra di dogmi che non potrebbero superare una analisi scientifica o filosofica. La filosofia estropica rappresenta una visione del mondo ottimista e serena, in cerca di continuo auto-miglioramento basato su motivi scientifico-razionali.

Essa prevede 1. un Progresso Continuo, 2. Auto-trasformazione, 3. Ottimismo Pratico, 4. Tecnologia Intelligente, 5. Società Aperta, 6. Auto-direzione, 7. Pensiero Razionale; queste non vengono considerate come regole da imporre, non sono dichiarazioni di sostegno a favore di specifiche tecnologie, non sono affermazioni definitive e inalterabili, non sono proposti come verità assolute ma codificano ed esprimono le attitudini di coloro che si descrivono come "estropici" nel proprio cammino verso i rispettivi obiettivi personali.

Le idee degli transumanisti fanno già parte della nostra società la quale potrebbe trovare oltre che innovativo, utopico e (troppo) rivoluzionario il loro pensiero anche un giovamento intellettuale e spirituale in esso, in un mondo chiuso tra lo status quo dello tradizionalismo e la comodità dell'abitudine atrofizzante. Uno status quo che persiste, nonostante l'Uomo immerso in un ritmo di vita psicotico e stressante della modernità cerca il rinnovamento, uno sbocco, altre vie, un altro paradigma, da ritrovare e sperimentare. Il Golem forse sta per uscire dal mito, sta per diventare una realtà tecnologica oltre che simbolica.
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il Golem L’origine della leggenda del Golem ha radici molto lontane nel tempo. Il termine appare per la priva volta nella Bibbia (Salmo 139, 16) ad indicare una massa ancora priva di forma. Nella leggenda il Golem prende vita grazie al nome di Dio o da altre lettere con significato particolare, secondo la concezione della Cabbala per la quale la creazione del mondo è avvenuta per emanazione dal nome divino. Tali lettere vengono o impresse sulla fronte o scritte su un foglio posto nella bocca della creatura. Cancellando tali lettere o togliendo il foglio la creatura perisce. Il Golem quindi è un'antichissima leggenda ebraica sul mito dell'uomo artificiale creato da un altro uomo. Questo atto è una sfida a Dio, un tentativo di impossessarsi della sua forza creatrice, il che genera una punizione, che arriva tramite la creatura. Infatti la leggenda è del tutto parallela alla creazione di Adamo da parte di Dio. La creazione avviene attraverso la costruzione di un simulacro di terra, che prende vita grazie a formule magiche. La figura del Golem è solitamente muta, imperfetta, priva della possibilità di creare un altro Golem e presenta analogie fortissime con numerosi altri miti che si possono considerare varianti nate in contesti storici differenti. Tra questi, per esempio quello dell'homunculus, l'essere vivente creato in vitro attraverso formule magiche e alchemiche, il cui creatore, Paracelso, prevedeva di partire dal seme dell'uomo, imputridito per quaranta giorni in un alambicco al calore del ventre equino. Il piccolo fanciullino in questo modo generato doveva poi essere nutrito con sangue umano per quaranta settimane.
Il Golem nasce come servitore e aiutante dell'uomo, esattamente come lo zombie, il morto vivente della tradizione Vudu. La variante meccanica è l'automa, meccanismo concepito per svolgere il lavoro umano. Identica è l'origine del robot, complesso apparecchio elettromeccanico. Con il progredire della tecnologia e delle scienze biologiche compaiono i cyborg, organismi viventi fusi con parti meccaniche, e infine le creazioni dell'uomo attraverso l'ingegneria genetica. In tutti i casi, a cui si può aggiungere quello di Frankenstein, le buone intenzioni spesso producono creature mostruose, che si ribellano al creatore.

Si narra che nel XVI secolo un mago europeo, il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, cominciò a creare golem per servirsene come servi, plasmandoli nell'argilla e risvegliandoli scrivendo sulla loro fronte la parola "verità" (in ebraico emet). C'era però un inconveniente: i golem così creati diventavano sempre più grandi, finché era impossibile servirsene: il mago decideva di tanto in tanto di disfarsi dei golem più grandi, trasformando la parola sulla loro fronte in "morte" (in ebraico met); ma un giorno perse il controllo di un gigante, che cominciò a distruggere tutto ciò che incontrava. Ripreso il controllo della situazione, il mago decise di smettere di servirsi dei golem e nascose il demone nella soffitta della Sinagoga Staronova, nel cuore del vecchio quartiere ebraico, dove, secondo la leggenda, si troverebbe ancora oggi.
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La tomba del rabbino Jehuda Löw ben Bezalel a Praga
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E LA LEGGENDA DEL GOLEM

La leggenda del Golem è fatalmente connessa con un luogo dello
spirito che è anche un luogo reale, cosa insolita e per questo tanto più
affascinante: la città di Praga, o meglio il ghetto e la Sinagoga
Vecchio-Nuova che caratterizzano la capitale ceca come uno dei centri più
demònici d’Europa.

Golem
in ebraico significa zolla di terra,
materia amorfa e senza vita: nel Salmo 139 indica un grumo informe, un
pezzo di creta. Si potrebbe dire la materia allo stato puro, passivo,
senza soffio vitale. Così come il Dio ebraico forgia il primo uomo,
Adam Qadmon
, con la polvere a cui è destinato a ritornare, allo stesso
modo un rabbino creerà un uomo artificiale, un uomo d’argilla, un
uomo senz’anima che serve pedissequamente il suo padrone. Il mostro
del prof.Frankenstein, insomma, sub specie ebraica. E, come nel
racconto della Shelley, anche nella leggenda del Golem il servo si
ribella al padrone per ritornare da ultimo e ciclicamente alla terra da
cui egli (esso?) proviene.

vivente più famoso
della Qabbalah e, in quanto simbolo, ha acquistato i significati più
diversi e controversi.
Per fabbricare un golem bisogna prima di tutto purificarsi. Non
v’è simbologia esoterica o anche solo ascetica che non insista su
questo punto fondamentale: la verità non si concede agli impuri, né
tanto meno agli schiavi della materia, in quanto per dominare
quest’ultima occorre esser giunti a un livello superiore di dominio di
sé.

Si impasti dunque un fantoccio con terra vergine, si giri attorno
ad esso più volte recitando le lettere cabalistiche del tetragramma. Si
scriva sulla sua fronte la parola Emet, Verità (in altre
versioni della leggenda il rabbino poneva in bocca al pupazzo lo schem
hameforasch
, vale a dire il foglietto col nome impronunciabile di
Dio), e soprattutto si creda nell’assoluta corrispondenza tra suono e
realtà, senza la quale ogni tentativo di dominare la natura, e dunque
se stessi, è mera illusione.

Il potere della Parola infatti (del Verbo, diremmo noi cristiani
avvezzi al Vangelo di Giovanni) è il potere della Mente, e il potere
della Mente non può che esprimersi attraverso il linguaggio razionale:
ma mentre per gli antichi greci ciò portava a una fiducia quasi
religiosa nella capacità del linguaggio di decifrare i misteri della
natura, per la mentalità e oserei dire per lo spirito ebraico tale
fiducia rivela allo stesso tempo il potere dell’uomo di creare copie
di se stesso, con tutti i pericoli e con tutte le tentazioni che ciò
inevitabilmente comporta.

Ma torniamo a noi, o meglio al rabbino Löw, matematico, fisico,
astronomo ed erudito inarrivabile che nel febbraio del 1592 trova
udienza persino presso Rodolfo II, anch’egli appassionato di studi
esoterici o comunque iniziatici. Pare che Löw abbia evocato davanti
all’imperatore e alla sua corte le ombre dei patriarchi Abramo, Isacco
e Giacobbe e dei suoi dodici figli. Dunque il mondo “altro” non era
un mondo segreto per questo strano Faust ebreo.

Nel romanzo Il Golem
del viennese Gustav Meyrink, pubblicato durante la Grande Guerra, si
dice che il rabbi aveva ideato l’omuncolo “perché lo aiutasse a
suonare le campane della sinagoga”. Negli studiosi (o appassionati che
dir si



sono infrequenti, e mi pare tradiscano soltanto il loro timore che
alcune verità possano essere fraintese.
Comunque sia, l’opera di Meyrink rimane il tentativo letterario
più famoso di dar vita estetica, diciamo così, al simbolo della
Qabbalah per antonomasia: il Golem. «Ogni rumore nel nostro mondo di
realtà è accompagnato dalla propria eco, così come ogni oggetto
proietta la propria grande ombra insieme a molte altre più piccole
[1]

Siano i rami delle Sephirôt
ovvero quelli reali di un albero, i simboli acquistano significato
soltanto in rapporto ad altri simboli, ad altre ombre, ad altre effigi,
in modo tale che il mondo intero non è che uno specchio del mondo
divino. Le corrispondenze in tal senso sono infinite, come infinito è
l’universo:

"Sempre
più mi convinco che quei sogni nascondono qualche profonda verità che
luccica debolmente nella profondità della mia anima, come il fievole
riflesso dell’arcobaleno di una favola, durante la veglia.
Allora, non so come, mi torna in mente la leggenda del misterioso
Golem, l’uomo meccanico che tanto tempo fa, qui nel ghetto [di Praga],
un saggio rabbino creò utilizzando i quattro elementi; poi gli diede
una sterile vita d’automa rinserrata in una formula magica che gli
pose tra i denti. E, come quel Golem si irrigidì come creta nel momento
in cui la frase misteriosa gli fu tolta dalle labbra, così, pensavo,
questi uomini si riducono ad entità senz’anima appena si spegne in
loro quella piccolissima scintilla di un’idea, quella specie di muto
sforzo, per irrilevante che sia è già degradato in molti di loro a
quanto sembra a pigrizia senza scopo e ad attesa inerte di un qualcosa
di cui essi stessi ignorano la natura. Nascondersi e attendere…
attendere e nascondersi… il terribile, eterno motto del ghetto
".[2]

Supponiamo,
come il musicista Prokop nel romanzo di Meyrink, che la vita non sia
altro che il misterioso turbine di cui parla la Bibbia, turbine che
soffia dove vuole, ma di cui non sappiamo l’origine né la ragione;
viviamo in un mondo in cui non sappiamo distinguere il grano dal loglio,
l’apparenza dalla realtà, in cui proprio nei cuori più riservati il
desiderio si fa più acceso: la Qabbalah avrebbe la funzione di rendere
consapevoli di tutto ciò e di molto altro ancora, poiché i suoi
strumenti, le lettere dell’alfabeto e la simbologia iniziatica,
diventano una sorta di gioco metafisico attraverso il quale scoprire e,
soprattutto, inventare, ricreare l’universo.


"Ascolta
e comprendi: l’uomo che è venuto da te, e che tu chiami il Golem,
raffigura il risveglio dell’anima attraverso la vita più intima dello
spirito. Ogni cosa sulla terra non è che un simbolo perenne rivestito
di polvere. Impara a pensare con i tuoi occhi. Pensa con i tuoi occhi e
osserva attentamente tutte le forme. Tutto ciò che ha preso forma era
prima uno spirito. (…) Colui che è stato destato non si addormenta più.
Il sonno e la morte sono una cosa sola
".[3]

«Un simbolo perenne rivestito di polvere…»


Conoscenza e memoria dunque sono una cosa
sola: se esse contribuiscono alla felicità dell’uomo, lo fanno in
quanto il misticismo non dev’essere per forza sinonimo di soppressione
di ogni desiderio. Vale a dire che i simboli ci aiutano a scoprire noi
stessi, giacché noi stessi siamo simboli. Solo uno stupido disprezza
l’apparenza e non ne tiene conto, perché la profondità comincia
dallo splendore (Zohar) della materia.

Hillel, genio del bene
nell’opera di Meyrink, dice alla figlia Miriam che la Qabbalah ha due
aspetti, uno magico e uno astratto, e che non bisogna confonderli.
Quello magico include l’astratto, ma non viceversa: l’aspetto magico
è un dono, mentre quello astratto si può imparare tramite un Maestro;
se Hillel dovesse mai credere che i miracoli potessero svanire dalla
propria vita, la sola idea lo ucciderebbe immediatamente. Gli uomini
sono una razza impura, cui pure è concesso di errare: ma una volta
consapevoli del fatto che l’immortalità non è un dono, bensì
un’opera - una grande opera, direbbe un alchimista – da
conquistare con fatica, allora non si hanno più scuse. Un altro
personaggio del romanzo sentenzia:





"Tutte le
sue esperienze le deve considerare almeno parzialmente come simboli.
(…) L’anima non è “una e indivisibile”; lo diventerà, e allora
raggiungerà quello stato che si chiama immortalità; la sua anima è
formata da un numero infinito di componenti, “ego” innumerevoli,
come un formicaio è formato da innumerevoli formiche. Lei porta in sé
le vestigia spirituali di migliaia di antenati, i progenitori originari
della razza cui appartiene
".[4]

Un giorno, era
un venerdì sera, il rabbi si dimentica di togliere lo schem dal suo
golem: nessun ebreo lavora il sabato, e un fantoccio a maggior ragione.
Nella Sinagoga Vecchio-Nuova il golem pare conquistato dai dèmoni.
Impazzisce, distrugge tutto quanto si trova sulla sua strada. Se il
sabato fosse iniziato, il rabbi non avrebbe più potuto arrestare la
tragedia,la quale coinvolgeva non solo un tetro quartiere della città
d’oro
, ma anche e soprattutto un luogo dello spirito umano. Il
rabbi toglie il foglietto dalla bocca del servo, che stramazza al suolo.




Ho notato che nel film di Wegener, un classico del muto che sono
riuscita a visionare non senza difficoltà, è l’innocenza di un
bambino a “salvare” la situazione, un bambino che, dopo il primo
timore di fronte all’orco, gli salta in braccio e gli sottrae
scherzando la stella (che al cinema risultava evidentemente più
suggestiva di un foglietto scritto in lingua ebraica).
Il rabbi e i suoi assistenti allora compiono gli atti al
contrario e pronunciano le parole cabalistiche all’inverso, un po’
come gli adepti delle messe nere, i quali recitano all’inverso il
credo o tolgono significato al rito semplicemente rovesciandolo.

Qualche storico azzarda una spiegazione-giustificazione del
genere: il golem non
sarebbe altro che l’incarnazione dello spirito indocile, diciamo pure
ribelle, degli ebrei, i quali hanno sempre tentato di difendersi dai pogróm
che i cristiani, quasi fosse un rito religioso non meno che sociale,
hanno scatenato a più riprese contro di loro. Il Golem in effetti a
volte pare un genio (in senso metafisico, è ovvio) del

rione ebraico di
Praga, un essere gigantesco e dai poteri sovrumani, per di più reso
invisibile da un pentacolo di pelle di daino su cui sono incise formule
cabalistiche. Come servo, a lui dunque non occorre l’intelligenza:
esegue gli ordini alla lettera, come l’Es di Georg Groddeck che,
dominandoci dall’interno, gioca tiri mancini all’Io (il padrone, il
rabbi, la razionalità nel senso superficiale o comune del termine) non
tanto perché la sua natura è perfida quanto perché deve bilanciare le
colpe e le mancanze

La colpa non a caso è un concetto, anzi un aspetto
della nostra vita senza il quale l’Ebraismo non saprebbe vivere. Che
poi la leggenda abbia assunto toni macabri o superomistici, dipende
forse dal fatto che l’età romantica ha voluto vedere in essa
soprattutto i lati in ombra, devastanti o dissolutori della personalità.
Löw aveva fama di erudito serioso e al tempo stesso di astuto
interprete della Qabbalah: la sua creatura pare un effetto del sapere
non meno che del tentativo di forzare lo spirito ad abbassarsi. Tutti i
simbolismi esoterici sono rispettati, nelle innumerevoli leggende del
golem che sono state tramandate nella Slavia centro-orientale: dalla
rivolta del manichino contro il proprio padrone (che significa anche
rivolta della forza bruta contro l’intelligenza) al tema del doppio,
del sosia, di quel che i tedeschi chiamano Doppelgänger e che mostra l’altra faccia dello studioso, dell’uomo
religioso, dell’uomo in generale.



Il Golem di Meyrink non è un’ombra senza coscienza come nella
leggenda che ho tentato, in poche parole, di evocare. Il Golem del
teosofo Meyrink è uno Spuk, uno spettro, una presenza enigmatica
e sfuggente che si rifà vivo ogni 33 anni nel ghetto praghese, come se
ciclicamente una sorta di malattia spirituale potesse e dovesse
ammorbare gli ebrei tramite l’incarnazione dei loro timori più
reconditi. Come se la Qabbalah e il Buddhismo, le due bussole interiori
dello scrittore austriaco, identificassero il Golem con l’Ebreo


errante, l’Eterno Ebreo che, come Cristo, vive o ritorna ogni 33 anni.

Immergendosi nella contemplazione dei simboli, delle lettere e delle combinazioni, il cabalista dunque svuotava il proprio spirito di tutte le forme materiali che potevano
“disturbare” la sua concentrazione sulle cose celesti, sugli
archetipi celesti. Ecco perché le lettere con le quali sono stati
composti i testi sacri e con le quali si crea o si distrugge il Golem
non sono semplici simboli arbitrari o convenzionali, ma vere e proprie
espressioni della potenza divina. E in quanto tali hanno e acquistano
significati occulti e magici. Ricercare i nomi di Dio o costruire un
fantoccio imitando in tal modo Dio non


sono che due tentativi di
strappare allo Spirito il suo segreto.


ricorda che «non si finirebbe mai ad
elencare tutti i fantocci inquietanti di Praga, le mummie dei suoi
panottici, i simulacri sornioni che ornavano le sue vetrine. (…) Alla
stirpe degli automi praghesi appartiene Odradek, il rocchetto di refe a

forma di stella, che sta in piedi e va in giro nel racconto
kafkiano Il cruccio del padre di famiglia.» E come dimenticare i


ròbot (una delle poche parole ceche entrate nel nostro dizionario) di
Karel Čapek?


fonte - Paolo Petitto

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Il Golem e il cinema
Paolo Massimiliano Paterna

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; e i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.
Antico Testamento, Salmo 139:16

Senza impelagarci in trattazioni filosoficamente complesse circa la connessione che intercorre tra la Divinità e la sua creazione più imperfetta, concentriamoci invece sull’uomo e il suo rapporto con l’esigenza da sempre intrinseca nel suo essere della creazione di qualcos’altro. O di qualcun’altro. Macchine, automi e robot, per nulla ad immagine a somiglianza di Dio, ma perfettamente coerenti con il loro vero creatore, l’uomo, hanno antenati quantomai antichi. Tra Cadmo che, rimasto solo, messosi a spargere in terra denti di drago creò un esercito privato di soldatini a sua completa disposizione. O Pigmalione, che non trovando una donna che lo soddisfacesse, se ne modellò una d’avorio, e pregò affinchè si animasse, finche non fu esaudito. O i servi meccanici del deforme dio Vulcano, il più grande evasore fiscale del catanese. O il Tupilak delle leggende Inuit, creato dagli stregoni per dare la caccia e uccidere malcapitati, e il terribile Golem della tradizione cabalistica ebraica, creato dal fango come l’uomo, ma senza un anima. O ancora l’homunculus di cui Paracelo ci ha tramandato una curiosa ricetta. Lo stesso Leonardo da Vinci, il più grande ed inconcludente genio forse mai esistito, ideò un progetto per la realizzazione di un robot umanoide. nel 1738 Jacques de Vaucanson, l’inventore del primo telaio automatico, fabbricò un automa capace di suonare il flauto.
L’idea del macchinario, non necessariamente formato da cavi e circuiti, nato come ausilio al lavoro all’essere umano, che poi misteriosamente sviluppa una propria coscienza, è da sempre presente. Quasi come monito all’uomo, dall’uomo stesso, che riconosce alla divinità l’esclusività dell’atto creazionistico. Un esempio tipico è il Frankenstein di Mary Shelly. Asimov limita il potere degli automi con un sistema all’apparenza perfetto che consiste nell’imposizione alle macchine di tre leggi infrangibili. Ne L’uomo della sabbia, 1815, E.T.A. Hoffmann narra l’amore impossibile tra un uomo e una bambola meccanica. Lo stesso Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, presenta temi fondamentali e tipici dei successivi racconti sugli androidi.
Numerosissimi sono anche gli esempi cinematografi che toccano questo tema. Da Blade Runner, ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, al più recente Io robot, tratto dall’antologia Io, Robot dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov. Ma prima di loro si erge imponente l’ intramontabile classico di Fritz Lang, Metropolis, visione del regista di un futuro di catene di montaggio e forti divisioni di classe in cui il personaggio del robot interpretato da Brigitte Helm è esteticamente di una modernità sconcertante.
Chi non ricorda il delizioso robot Robby del Pianeta Proibito del 1956, o il terribile Gort di Ultimatum alla Terra, di cui recentemente è uscito un remake con Keanu Reeves, che nella versione originaria fu interpretato da Lock Martin, ingaggiato solo per la sua alta statura, 231 cm.
Come non citare la saga del Terminetor, in cui le doti artistiche dell’attuale Governatore della California non cozzano affatto con il non particolarmente complesso livello psicologico del personaggio robotico interpretato. Poi il bambino artificiale di AI - Intelligenza Artificiale, 2001, di Steven Spielberg, e Il tenente comandante Data della serie televisiva Star Trek - The Next Generation, o ancora L’androide Bishop di Alien di Ridley Scott, o il robot paranoico della Guida galattica per gli autostoppisti.
Il Salmo 139, 16, dell’Antico Testamento, citato all’inizio dell’articolo, indica la massa ancora priva di forma, e si riferisce al grande progenitore, Adamo, prima che gli fosse infusa l’anima da Dio. Polvere alla polvere. Adamo in quel momento era solo terra e fango. Questo, un concetto presente nei libri fondamentali della mistica ebraica, lo Zohar, Il libro dello splendore, del XIII secolo, e il Sefer Jezira, Il libro della creazione. Altro dettame estremamente importante e basilare della tradizione cabalistica è il processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino. Niente di diverso da In principio era il verbo. Il potere della parola, del suono, e della successione numerica e letteraria che compone ogni cosa. Ancora più semplicemente Dio è il più grande programmatore di computer del mondo, non limitandosi agli 0 e agli 1. Così conoscendo la giusta parola, i rabbini studiosi della cabala potevano dare vita, anche se non infondere un anima, potere esclusivo della Divinità, ad una creatura di fango. Con un procedimento inverso, togliendo la parola alla creatura, erano in grado di privarlo della vita stessa. Questa è la storia del golem. L’automa ebreo.
Nel XIII secolo era presente una tradizione che si richiamava al IV secolo A.C. secondo la quale il Golem, che riportava in fronte inciso il nome di Dio, prendeva vita aggiungendo ad esso la parola “verità”, cosicché ne risultava la frase “Dio è verità”. Cancellando dalla frase una delle lettere, la aleph, la parola che restava significava “morto”, la frase che ne risultava era Dio è morto, e il Golem diventava inerte.
Nella Polonia del ‘600 la leggenda, documentata in una lettera datata 1674, raccontava di un Golem che crebbe a dismisura, diventando una minaccia ingovernabile per il suo padrone. Allora questi, il Rabbi Elija Ba’al Schem di Chelm, pretese che il Golem gli togliesse le scarpe, e nel frattempo gli cancellò tempestivamente dalla fronte l’aleph. Il Golem ricadde su se stesso senza vita, travolgendo il Rabbi con la sua massa informe.
La leggenda più nota è quella ambientata nel ghetto di Praga che attribuisce la creazione del Golem al Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel, ai tempi dell’Imperatore Rodolfo II, cioè alla fine del ‘500 - inizi del’ 600.
Si tratta in realtà della saga polacca del Rabbi Elija Ba’al Schem di Chelm, che a posteriori, cioè nel ‘700, venne attribuita al rabbino di Praga: in questa versione il Golem era un protettore del popolo ebraico dalle persecuzioni.
Il motivo dell’attribuzione a posteriori della creazione del Golem al rabbi nella Praga di Rodolfo II fu probabilmente la diffusa atmosfera di celebrazione e mitizzazione della figura dell’Imperatore (e del Rabbi Löw stesso) durante il ‘700: cultore di scienze occulte e protettore degli ebrei egli aveva condotto nei loro confronti una politica illuminata dando inizio ad un periodo di espansione e fioritura delle loro attività.
La leggenda del golem che sembra diversa ogni volta che la si sente o in relazione a chi la racconti o da dove la si legga, è stata spesso ripresa. scrittore ed esoterista Gustav Meyrink si ispirò ad essa per il suo Der golem, 1915. Lo stesso è il titolo della prima delle tre opere cinematografiche ispirate alla figura del golem, del regista, sceneggiatore e attore tedesco Paul Wegener. Ne il Der Golem, del 1914, diretto in collaborazione con il regista Henrik Galeen, Wegener, interpretò proprio il golem al fianco dell’attrice Lyda Salmonova.

Oltre che della suggestiva fotografia di Seeber, il film si avvalse anche dalla splendida scenografia di Rochus Gliese.
La storia, ispirata liberamente dall’omonimo romanzo di Gustav Meyrink, narra la storia di un mostro d’argilla, creato magicamente da un rabbino durante il XVI secolo per proteggere gli abitanti del ghetto dalle persecuzioni volute dall’imperatore Rodolfo II. Ritrovato secoli dopo da un mercante d’arte tra le rovine di una antica sinagoga, costui farà uso dell’amuleto magico che risveglia la creatura per farle proteggere sua figlia, della quale però il mostro si innamora perdutamente. Per difendere il suo amato dalla furia del Golem, la ragazza spezzerà l’amuleto ponendo fine all’incantesimo e riducendo il Golem in frantumi.
Il film riscosse un grandissimo successo facendo salire Wegener agli apici della fama. La sua pellicola, ritenuta ormai perduta, fu ritrovata nel 1958 all’interno di una collezione privata e restaurata.
Nel 1917 Wegener tornò nel ruolo del Golem, questa volta in una sorta di parodia del primo grande successo, nella pellicola Der Golem Und Die Tanzerin sempre al fianco della Salmonova. In questa pellicola, andata ormai perduta, il protagonista, dopo aver visto il film Der Golem cerca di spaventare una ballerina ed i suoi amici travestendosi da mitico mostro. Questo film può essere considerato tutto sommato il primo sequel nella storia del cinema.
Alla fine del 1919, in collaborazione per la regia con Carl Boese, Wegener gira uno dei suoi film più acclamati, Der Golem: Wie er in die Welt Kam, ovvero Il Golem - Come venne al mondo. Per la realizzazione del film, Wegener si servì della collaborazione di altri grandi nomi del mondo cinematografico tedesco, quali Henrik Galeen per la sceneggiatura, Karl Freund come cameraman e Guido Seeber per la fotografia, ed in ultimo Rochus Gliese per la realizzazione delle scenografie visionarie. Anche il cast era composto da nomi importanti, infatti, oltre alla ormai immancabile Salmonova, si annoverano nomi quali Ernst Deutsch e Albert Steinruck.
Il film, sempre liberamente ispirato al libro di Meyrink, è una sorta di prequel della prima pellicola, e narra infatti la storia della creazione del leggendario mostro d’argilla per mano dell’alchimista rabbino Benjamin Yehuda Loew, per fronteggiare le persecuzioni contro il popolo del ghetto di Praga. Lo scopo viene raggiunto dal rabbino ed i persecutori della sua gente subiranno la giusta vendetta, tuttavia il mostro sfugge dal controllo del suo creatore, per colpa del suo assistente, Famulus, fortunatamente, per opera di una bambina che spezza il sigillo al collo del mostro e che lo tiene in vita, l’incubo del Golem ha fine.
Anche questa volta il film fu un autentico successo non solo in Germania, ma in tutto il mondo, negli Stati Uniti, dove uscì solo nel 1923, il film venne proiettato ininterrottamente per ben dieci mesi ed influenzò fortemente il regista James Whale nella creazione del suo Frankenstein del 1931.
Un aneddoto, narrato dallo stesso Wegener, vuole che quando l’attore si trovò a passeggiare per il ghetto ebraico di Amsterdam, la gente del luogo iniziò a sussurrare e a indicarlo con il dito, quando Wegener si avvicinò ad uno dei passanti per chiedere il motivo di quel comportamento l’uomo fuggì via atterrito. L’attore comprese tutto solo quando sentì con le proprie orecchie quello che sussurrava la gente intorno a lui: È il Golem, è il Golem!.




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