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IL DISCO CONSIGLIATO E' : phornography dei CURE 1982.
voto= 10

forrmazione


Robert Smith - Voce/Chitarre/Tastiere/synth
Simon Gallup - Basso/Tastiere
Laurence Tolhurst - Batteria
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elenco brani
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1. One Hundred Years
2. A Short Term Effect
3. The Hanging Garden
4. Siamese Twins
5. The Figurehead
6. A Strange Day
7. Cold
8. Pornography

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recensione tratta dal web che riassume bene il disco--->

....... Colori rosso. Nero. Robert Smith.
Amava cerchiarsi gli occhi di rosso prima di salire sul palco per suonare. Così, con le luci, il calore, l’adrenalina, quel rosso colava. Giù. Sembrava piangesse sangue. Ed era perfetto per la musica che suonava quel periodo.
Eravamo completamente dentro l’era della "New Wave" del "Dark Wave" di Joy division, Bauhaus, Sisters of mercy.

The Cure. Pornography.
Il perfetto album "dark" dei Cure.
Robert Smith, Simon Gallup e Laurence tolhurst.

E che la musica abbia inizio.

L’incipt del disco è devastante.
Un intenso e ossessivo ritmo di batteria elettronica, tastiere come cori spettrali. Poi la chitarra lancia rasoiate e colpisce forte e "Pallettoni" di basso come macigni a colorare ancor più di nero il tutto.
Drammatica l’entrata del canto che esclama in piena crisi nervosa:"It doesn’t matter if we all die"(Non importa se muoriamo tutti).
Un brano che ha nel testo dei piccolissimi anneddoti che spaziano dal macabro, alla sofferenza.
Di amori svaniti, di morte.
Il tutto con una colonna sonora che veramente è incredibile per intensità chitarristica e vocale. Prezioso, davvero, il lavoro di Robert Smith. Che colpisce come vuole con la sua voce, che strazia, incanta. Ammalia.
"One Hundred Years".

Ancora batteria e strane melodie di tastiera. Che poi lasciano spazio a un bel giro di basso e ad un "oscuro" arpeggio di chitarra.
La voce entra e ad ogni fine verso sembra cadere in un baratro, facendo eco con altre voci e synth. Un effetto particolarissimo.
"Movimento. Nessun movimento. Solo un uccello che cade freddo mentre colpisce la terra sanguinante, ha vissuto ed è morto…Cattura l’immagine, Coprimi con la terra vestito di nero. Un suono bianco e immobile" e ancora:"Un giorno senza sostanza. Un cambio di pensiero. Un’atmosfera che marcisce col tempo. Colori che si agitano nell’acqua. Un effetto a breve termine".
Non ci sono particolari cambi. Un gioco di voci, nascoste nel buio, di campionamenti che appaiono e scompaiono. Di piccolissime chitarre che avvolgono.
Un atmosfera tipicamente dark. Incredibilmente affascinante.
"Short Term Effect"

"Creatures kissing in the rain, shapeless, in the dark again" popolano il giardino di Smith e soci.
Ballano queste creature a ritmo tribale. Solo timpani. Solo pelle. non ci sono piatti, ne charleston, ne cassa. Il basso urla, frenetico, impressionante.
Tutto è cosparso di "Flanger"(Pensate al suono del flanger come al passaggio di un aereo), e ancora di tanto nero, nel canto e nel testo.
"Cado, cado, cado, cado. Contro le mura. Salto salto fuori dal tempo. Cado, cado, cado, cado. Fuori dal cielo. Copro la mia faccia mentre gli animali piangono".
Brevi ma incisivi gli interventi di chitarra. "Sfiziose" le basi elettroniche delle tastiere e dei rumori, suoni che suonano, scompaiono. Deliziosa la rincorsa Voce/chitarra nel finale.
"The hanging Garden"

Balla storta la batteria insieme al basso. La chitarra suona un arpeggio ipnotico, lasciando poi spazio alla voce. Una perfetta ballata "Darkettona", totalmente rarefatta e
fascinosa.
La lirica di Smith è pazzesca. Sono dei piccoli gioielli di scrittura, messi in musica. I primi versi sono onirici, spettrali, visionari, quasi quanto quelli del Buon Jim Morrison
Ho scelto un’eternità di tutto questo. Come angeli che cadono. Il mondo è scomparso. Ridendo nel fuoco. È sempre così? Carne sangue e il primo bacio, I primi colori, Una perfetta "suite" noir. Con pochissime aperture melodiche ma talmente bella che si rimane fermi. Ad ascoltare, ancora una volta stupiti.
"Siamese Twins"

Un’altra incredibile "Perla" di rara bellezza.
Ancora una volta l’entrata è un incessante ritmo di batteria che oscilla tra l’acustica e l’elettronica. La chitarra spazzola, bella e piena di effetto, i momenti strumentali. Il basso è grosso. Potente e di una bellezza inquietante. E’ mille serpenti che si aggrovigliano formando un muro in movimento, sbrillentato e sfrerragliante. Che spettacolo.
La lirica è ancor più visionaria e senza speranza. Un atro scritto, di rara bellezza oscura.
"Posso perdermi nell’arte cinese e nelle ragazze americane, per tutto il tempo. Perdermi nell’oscurità. Ti prego fa’ che vada bene. Cori nella notte. Domani mi perderò. Dolore purpureo, il mio cuore esplode, la mia memoria in fiamme. E qualcuno ascolterà, almeno per poco…Non posso mai dire di no a nessun altro che te.
Troppi segreti, troppe bugie. Contorcendosi con odio. Troppi segreti. Ti prego fa’ che vada bene stanotte…Ma la stessa immagine mi perseguita, in sequenza, nella disperazione del tempo. Non sarò mai più pulito di nuovo. Ho toccato i suoi occhi. Premuto la mia faccia macchiata. Non sarò mai più pulito di nuovo. Tocco i suoi occhi. Premo la mia faccia macchiata. Non sarò mai più pulito di nuovo".
L’alchimia perfetta tra voce e chitarra è arte allo stato puro. Splendidi tutti e 6 i minuti che corrono e che hanno bisogno di essere riascoltati, con pazienza. ancora e ancora.
"The Figurehead"

Ora.
Sembra che l’atmosfera sia più rilassante.
Ancora basso e batteria. Note nelle note. Smith canta e accarezza la chitarra.
Allucinante il primi due versi del testo.
"Dammi i tuoi occhi. Perché io possa vedere l’uomo cieco che bacia le mie mani. Il sole sta picchiando/La mia testa diventa polvere mentre lui gioca sulle sue ginocchia".
Smith ci regala dei piccolissimi "solo" di chitarra davvero azzeccati, incorniciando ancora di più il continuo del suo scritto.
Che spazia nella più completa immaginazione.
"E la sabbia e il mare cresce. Chiudo i miei occhi, mi muovo lentamente attraverso onde che annegano. Andando via in uno strano giorno. E rido mentre vengo trascinato dal vento, cieco. Danzando su una spiaggia di pietre accarezzo le facce mentre aspettano la fine. Un improvviso silenzio sull’acqua. E siamo ancora qui…".
Splendida la seconda parte. Con la chitarra che apre perfettamente la melodia insinuandosi pian, piano. Crescendo d’intesità. Per poi rimanere magnificamente da sola, emozionando. E poi ancora rincorre la voce nel bellissimo finale.
"A Strange Day"

Organo. Batteria. Organo, suoni elettronici e tastiere. Ora va in scena il momento più gotico del disco. Una drammatica discesa nel nero più totale.
Poi basso. E la sua voce che come non mai incanta. E’ delizia. Spettacolare.
"Aspetto, aspetto il prossimo respiro. Il tuo nome come ghiaccio nel mio cuore. Una fossa poco profonda, un monumento all’età rovinata. Ghiaccio nei miei occhi e gli occhi come il ghiaccio non si muovono. Urlando alla luna. Un altro tempo perso. Il tuo nome. Come ghiaccio nel mio cuore".
Sono 4 volte che ascolto questo incanto. 4 volte che perdo le parole tra le dita. Che si spezzano tra la pelle e la tastiera.
Non mi rimane altro che ascoltare. In silenzio. Nessun ticchettio. Solo vento fuori. Solo musica dentro.
Immobile, tra mille sospiri e una sigaretta invernale.
"Cold"

Voci. Pornografia? Cori. Spettri che s’intrecciano.
Il ritmo tribale danza, ed esce poco, a poco dalla luce. Diventa ombra. Rumore. Distorsioni, ingabbiano queste voci. Delirio. Rumori, distorsioni, Delirio.
Ultimo atto. Una decisa discesa negli inferi.
"Una mano nella mia bocca, una vita si riversa nei fiori. Sembriamo tutti così perfetti. Mentre tutti cadiamo, in un bagliore elettrico/Un altro giorno come oggi e ti ucciderò. Un desiderio di carne e vero sangue. E ti guarderò annegare nella doccia. Spingendo la mia vita attraverso tuoi occhi aperti".
La voce di Smith si sente in lontananza, malatissima. E tira via tutte le paure e la decadenza di questa stranissima canzone.
La chiusura del testo è una risposta, positiva, alla prima frase del brano d’apertura. O così sembra.
"Devo combattere questa malattia. Trovare una cura. Devo combattere questa malattia".
Tutto finisce. Tra mille voci, distorte.
"Pornography"
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01 - One Hundred Years





02 - A Short Term Effect



03 - The Hanging Garden


The Cure - Hanging Garden
di The-Cure-official



04 - Siamese Twins



05 the figurehead




06 - A Strange Day



07 - Cold

The Cure - Cold (Live On Tv 'echo Des Bananas' 1982)
di chauvesourie38


08 - Pornography


The cure - Pornography live
di chauvesourie38




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estratto articolo trovato in rete

.............................. Ciò che successe dopo non è facile da ricostruire. Smith stesso fu più volte contraddittorio nel descrivere quel periodo, e ciò è fin troppo eloquente sullo stato mentale che stava vivendo. Insomma tra cronaca, aneddotica e leggenda, nel mese di dicembre i Cure si ritrovarono di nuovo in studio di registrazione, i Rhino Studios di Surrey, talvolta ancora insieme a Severin, che suggeriva linee liriche. Tuttavia i rapporti con Hedges subirono una serie di rovesci, ed alla fine fu bellamente defenestrato da Smith e sostituito alla consolle da Phil Thornalley, produttore distintosi con gli Psychedelic Furs. Purtroppo le tensioni non svanirono, Smith aveva sempre più problemi a spiegare agli altri le sue idee, finché mandò tutti al diavolo.
Qui non si sa se sia leggenda, ma pare che, litigioso come non mai, la sera stessa si prese una bella man di botte. Delirante e depresso si rifugiò quindi in un mulino di Guildford e nel giro di un week-end scrisse di botto tutte le canzoni del nuovo album. Decise quindi di fare un ultimo tentativo con i Cure, prima di accettare la proposta di Severin di tornare definitivamente a far parte dei Banshees. Era il mese di gennaio 1982 quando, cambiata sala d’incisione con i RAK Studios di Londra, sempre accompagnato da droghe ed altro, Smith si chiuse a registrare con Tolhurst, Gallup e sempre Thornalley al mixer, lasciandosi andare ad ogni atteggiamento che definire “poco consono” sarebbe un ridicolo eufemismo: i tre passavano il giorno a dormire o drogarsi e la notte ad incidere, e poco dopo nello studio, sempre più lercio e maleodorante, si accumulò una montagna di lattine di birra. Facendo ciò sperimentavano ogni distorsione sonora e psichica: metalli grondanti, riverberi cavernosi, rumori squassanti, devastazioni psico-soniche.
Nel mese di maggio del 1982 fu finalmente pubblicato il nuovo album: Pornography, con Smith momentaneamente ricoverato per un leggero (!) esaurimento nervoso. Pornografia, cioè figuratività del nudo, la nudità di una psiche devastata. Copertina rossa, tre presenze sfocate, in primo piano una mano inquietante… Si comincia con un capolavoro, One Hundred Years, e le prime percussioni che partono danno quasi fastidio, così sintetiche, così metronomiche, degne figlie bastarde della ricerca inaugurata da Splintered in Her Head. Poi irrompe la chitarra, in uno sconcertante riff quasi lamentoso. L'atmosfera è cupa, sembra rinchiusa in una scatola nera, poi fa capolino la voce, tra il rabbioso e il rassegnato (due sentimenti solo all'apparenza antitetici) con il celebre verso raggelante «it doesn't matter if we all die» (non importa se moriremo tutti). Un'allucinazione di morte collettiva («one after the other»), uno sfogo di rabbia angosciosa, un incubo compresso, alternato dal riff di chitarra che si fa simil-assolo oscuro e gemente a ridosso della conclusione, che vede tra l'altro l'unica variazione tonale del pezzo.
L'ascoltatore è assolutamente attonito, i nervi massacrati da un simile attacco sonico-nichilista, che un’apertura sghemba di chitarra sembra annunciare un'atmosfera diversa, quasi comica o vaudeville, invece irrompe una batteria a tre colpi di rullante-fustino, fino al meraviglioso giro di basso, discendente fino alle oscure cavità dell'anima. Si tratta di A Short Term Effect che, se non ci fosse una batteria così fragorosa, sembrerebbe tratto da Faith: una melodia mesta e depressa, con strana variante solare. Il problema (se di problema trattasi, altrimenti si potrebbe dire “il bello”) è che la voce viene sottoposta a echi da incubo, accompagnata da una chitarra sotterranea e gemente e un piano astratto, per un viaggio lisergico nelle visioni più angosciose di una mente distorta, forse la testimonianza allucinata di un assassinio (i testi sono così ricchi di immagini colorite e mutevoli da essere difficilmente interpretabili).
Capolavoro fra i capolavori, la successiva The Hanging Garden (titolo incredibilmente ambiguo: “il giardino pensile” o “dell'impiccagione”) comincia con una cavalcata percussiva di Tolhurst, accompagnato percussivamente anche dal basso di Gallup. La chitarra è quasi arabeggiante ed il brano si sviluppa febbrile, ma lunare e depresso, negli anfratti oscuri della psiche. Bellissimo il verso d'apertura, «creatures kissing in the rain, shapeless in the dark again» (creature si baciano nella pioggia, ancora senza forma nell'oscurità), per un'altra visione da incubo sulla mattanza degli animali. Che dire del ritornello da brividi? «Fall fall fall fall, into the walls, jump jump out of time / fall fall fall fall out of the sky, cover my face as the animals cry» (cadi dentro ai muri, salta fuori dal tempo, cadi fuori dal cielo, coprimi la faccia quando gli animali gridano). Ne sarà addirittura tratto un singolo.
È troppo. Si spera che la prossima allenti la tensione, invece Siamese Twins è un altro tuffo nel pozzo più nero della depressione senza speranza. Uno scampanellìo iniziale, ancora una batteria a metronomo, su tempo lento di marcia, chitarra e basso insieme con ritorno della devastante malinconia che tanto ci aveva deliziato sull’album precedente. Un’unione irresistibile, da gemelli siamesi, eppur finita in rancore, un tentativo di suicidio, la lama che penetra le mani, i vermi che si nutrono delle carni. La catalessi catacombale del suicida scandita da una batteria martellante e riff da nosocomio. Batteria potentissima ma tempo più sostenuto nella successiva The Figurehead, interamente sulle spalle di Gallup che col suo basso sembra in grado di reggere l’impossibile, insieme all’arpeggio di chitarra. La voce è un lamento d’oltretomba, in una litania che è pura autocommiserazione orrorifica, con testi che evocano le peggiori visioni da incubo, da trip lisergico andato male. Il brano si snoda, pur nella stessa atmosfera dolente e oppressiva, tra minime variazioni tonali o vocali che gli danno una strana dinamica di sfumature, con tanto di grido catartico centrale («I can never say no to anyone but you», non posso dire no a nessuno tranne che a te), fino alla depressione più tetra del «I will never be clean again». Interruzione improvvisa, sempre di batteria.
Questa lascia l’attonito ascoltatore nella necessità improcrastinabile di un raggio di sole, ne va del suo equilibrio psichico. E questo arriva, ma non ancora nella musica, col successivo capolavoro A Strange Day. Inizio soffusissimo, da zero, poi chitarra in distorsione e flanger, cadenzata da una sezione ritmica in scansione quasi robotica (soprattutto sul rullante-fustino), erompono in un’introduzione acida e leggermente cacofonica. È stranamente la voce a dare un attimo di pace melodica, con i meravigliosi versi «give me your eyes, that I might see, the blind man kissing my hands» (traducibile non certamente con “dammi i tuoi occhi, che io possa vedere, [disse] il cieco baciandomi le mani”). Anche qui probabilmente si tratta della cronaca di un suicidio, ma come solo Smith sa fare quando è veramente ispirato (vedi The Funeral Party), l’evento è reso senza toni drammatici, ma in questo caso melodici, dolci, comunque stranianti. Tra una strofa e l’altra la chitarra si lancia addirittura in uno pseudo-assolo, anche questo malinconico e invitante al sogno, al volo dell’immaginazione. Da lacrime.
È chiaro che dopo una simile sequela di impressionanti capolavori, la penultima Cold suoni un po’ minore, come dire... un po’ di maniera. Innanzitutto i suoni: lungo tutto il disco si è già sentito questo effetto “scatola chiusa”, la batteria potente con questo fastidioso rullante, che sembra veramente un fustino metallico del detersivo. Anche la voce lamentosa, déjà entendu. Così il basso catacombale, sebbene ora una tastiera emerga solenne in modo più evidente, quasi solare, nel nero putrido dell’atmosfera creata. Atmosfera che sembra ereditata dai gruppi sperimentali tedeschi (Can e Faust) per la metallica pesantezza, per la soffocante cacofonia, sebbene interpretata in un nichilismo disperato e mortifero senza dubbio inedito.
Sarà l'ultima, l’omonima Pornography, ad andare oltre. Qui l’atmosfera e le “soluzioni musicali” sperimentate per Splintered in Her Head, che già avevano caratterizzato un po’ tutto il disco, trovano il loro più allucinante e definitivo compimento. Contorte ed incomprensibili registrazioni radiofoniche si fanno largo dal nulla, disturbando orecchio e psiche; sono lontane e quasi indistinguibili le quattro note di tastiera che reggono il giro di accordi (ammesso che ne esista uno). Da lontano si avvicina anche una percussione metallica che in pochi secondi, e fra effetti distorti, riempie tutto l’orizzonte sonoro. Poi riemerge la tastiera con le sue quattro note, ma questa volta funerea e minacciosa. Tra questo suono lugubre, le percussioni-martello ed altri effetti caco-sonici e allucinanti, nell’angoscia mostruosa di una psiche impazzita, furiosa ed incurabile, dopo circa 3 minuti entra una sorta di lamento vocale quasi parlato, che narra di immagini di violenza, morte, visioni da LSD e follia. Il tutto è indistinguibile e impastato, schiacciato di percussioni, spappolato in materia psichica deforme e sordida, in un’orgia spasmodica di distorsioni. Citiamo gli ultimi “versi” giusto per avere un’idea: «One more day like today and I'll kill you / A desire for flesh and real blood / I'll watch you drown in the shower / Pushing my life through your open eyes / I must fight this sickness, find a cure / I must fight this sickness» (un altro giorno come questo e ti ucciderò, un desiderio di carne e sangue vero, ti guarderò annegare nella doccia, spingendo la mia vita fra i tuoi occhi aperti, devo combattere questa malattia, trovare una cura), come se la pornografia fosse questo desiderio di morte, di omicidio liberatorio, catartico. E il brano muore agonizzando nei residui di voci radiofoniche confuse.

All’uscita dell’album tutti erano convinti fosse una schifezza inascoltabile ed invendibile; Parry, direttore della Fiction e grande protettore dei Cure, per primo. Seguì una breve tournée, il “Fourteen Explicit Moments” tour, dove riemersero tutti i problemi di droga ed incomprensione reciproca. Smith e Gallup arrivarono ad un tale livello di lite da mollare tutto e tornare a casa, salvo poi ripensarci (sembra grazie all’intercessione del padre di Robert) e portare a termine le date programmate. L’ultima serata, quella all’Ancienne Belgique di Bruxelles del giugno 1982, Smith volle uscire solo a condizione di suonare la batteria, Gallup allora prese in mano la chitarra e Tolhurst provò con il basso. Un roadie salì sul palco e cominciò, giustamente, a urlare nel microfono insulti all’indirizzo di Robert Smith. Ne nacque l’ennesima rissa, col roadie e col pubblico (Tolhurst però continuò imperterrito a suonare il basso), in un’altra bella serata finita in vacca. Alla fine Gallup non volle più avere nulla a che fare con Robert Smith e se ne andò “sbattendo la porta”. Fu la fine dei Cure. Tanto tutto è merda, no?
Tuttavia l'album, Pornography, contraddisse tutte le aspettative e si piazzò al 9° posto delle classifiche di vendita divenendo così il loro top-seller. Ma a parte questo, Pornography è anche un disco unico, dove veramente tre ragazzi sensibili ed incredibilmente ispirati furono in grado di esporre la nudità delle loro anime depresse e torturate dalle droghe, oltre che da un sociale sempre più schiacciante e claustrofobico. Con le sue distorsioni devastanti, lontanamente imparentate con la furia di gruppi come i Killing Joke o i Cabaret Voltaire, il disco divenne il più fedele specchio della situazione giovanile inglese contemporanea, per cui la vita era dolore, la convivenza tortura, la relazione violenza. Allora l'identità si fa confusa e annebbiata, la psiche si fa dolente e impazzita, senza speranza, capace solo di gridare frustrazione, angoscia e rabbia. Rabbia impotente ed allucinata dalle droghe, l’unico placebo, l’unica magra consolazione del giovane di allora. Ma che dopo l’effimero effetto facevano riemergere la lacerazione interiore con ancora più strazio e impeto.
Insomma, senza ombra di dubbio Pornography è uno dei capolavori assoluti del genere dark.


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altra recensione

CUREPornography(Fiction) 1982
dark-punk
di Mauro Roma pluslessAccanto a Ian Curtis, Robert Smith è l'altro grande "spirito guida" della cosiddetta "dark-wave" britannica. I due erano uniti dalle stesse ansie, paranoie e depressioni, ed entrambi in ogni loro opera davano l'impressione di stare soccombendo sotto il peso di un'immane tragedia esistenziale. Ma la differenza fondamentale tra i due sta proprio nel fatto che, mentre Curtis alla sua personale tragedia si arrese senza nemmeno tentare di combattere, Smith ha invece sempre lottato con tutte le sue forze per uscirne. Da qui anche la differente impostazione musicale dei rispettivi gruppi: laddove la musica dei Joy Division era gelida, inerte e di precisione geometrica, quella dei Cure è invece in costante, nevrotico tumulto: Ian Curtis cantava come un robot privato di qualsiasi emotività, il tono di Robert Smith invece era quello di un condannato a morte prossimo all'esecuzione, che cerca ansiosamente una possibile via di fuga. Smith non ha mai avuto la sconvolgente, folle lucidità e la capacità riflessiva di Ian Curtis, ma ha sempre potuto vantare un talento lirico che ha avuto pochi rivali nel rock inglese degli ultimi due decenni: i suoi flussi di coscienza così romantici (nel senso "letterario" del termine), commossi e sconsolati, hanno segnato in profondità le sensibilità di stuoli di "dark-kids".



Dopo una crisi che nei due anni precedenti aveva ridotto la line-up al trio formato da Smith, Simon Gallup (basso e tastiere) e Laurence Tolhurst (batteria), il leader dei Cure riuscì a raggiungere l'apice della sua vena poetica, perfettamente supportato dai due compagni. I tre diedero così vita al loro lavoro più complesso e ambizioso, e ottennero quello che si può definire come il "perfetto" disco dark. Un'opera intimista, emozionante e desolata, che trasuda un senso quasi tangibile di disfacimento e decadenza.



L'attacco di "One Hundred Years" lascia subito col respiro mozzato: l'incedere ossessivo della batteria elettronica, gli spettrali cori delle tastiere, le lancinanti fitte chitarristiche preparano il terreno alla declamazione concitata di uno Smith in piena crisi nervosa, che esordisce con un programmatico "it doesn't matter if we all die". Se "Pornography" è il "perfetto" album dark, allora il suo brano d'apertura può essere tranquillamente considerato la "perfetta" canzone dark. Vi si accavallano rimpianto e sofferenza, ricordi di amori e felicità ormai perduti e visioni di un mondo privo di senso, come ribadito anche dalla successiva "A Short Term Effect", brano meno convulso ma dall'umore ancor più depresso: "A day without substance, a change of thought", proclama Smith, mentre cominciano sempre di più ad affollarsi immagini di morte, tutto sembra essere arrivato alla fine, all'immobilità, al gelo eterno ("no movement, just a falling bird cold as it hits the bleeding ground").



"Creatures kissing in the rain, shapeless, in the dark again" popolano "The Hanging Garden", inquietante visione notturna e invernale, scandita da un frenetico ritmo tribale, esattamente all'opposto della straordinaria "Siamese Twins", danza ipnotica, all'insegna della rarefazione totale, dilatazione estrema del tempo e dello spazio, recitata e suonata come in trance: "I chose an eternity of this, like falling angels / the world disappear laughing into the fire". "Figurhead" e "A Strange Day" riprendono invece la cadenza languida e rilassata di "Short Term Effect", mentre Smith si dimena sempre più delirante, ma anche sempre più sconsolato, ormai circondato dal disfacimento, tormentato da incubi e allucinazioni. È soprattutto negli ultimi brani che uno Smith ispiratissimo distribuisce autentiche perle di poesia decadente ("A Strange Day", con un incipit surreale come "give me your eyes, that i might see the blind man kissing my hands", è esemplare). Ed è a questo punto che intona il suo requiem più doloroso, "Cold": le lunghe, solenni frasi di organo e le folgori elettroniche sorreggono un'impalcatura sonora che più gotica non si può, mentre Smith trova finalmente il coraggio di fronteggiare l'opprimente senso di morte che lo affligge: "Ice in my eyes and eyes like ice don't move / screaming at the moon / another past time/ your name like ice into my heart / everything as cold as life…".



Si finisce così nel gorgo infernale della title-track, introdotta da un coro di voci spettrali, condotta da un crescendo percussivo tribale, indemoniato, apocalittico, in un mare di acutissime distorsioni e imponenti droni elettronici. Ma il brano più inquietante e dissonante è anche quello che riesce a concludere l'album su una nota di lieve speranza: Smith sembra essere riuscito a trovare la giusta dimensione in cui racchiudere le sue psicosi, sempre pericolosamente sull'orlo dell'esplosione ("one more day like this and I'll kill you"), ma perlomeno conscio della sua situazione e pronto a tentare di ritrovare la pace. Non è un caso che la frase posta a sigillo dell'opera sia un altro manifesto programmatico, ma diametralmente opposto a quello d'apertura: "I must fight this sickness, find a cure".

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per info esaustive
http://it.wikipedia.org/wiki/Pornography sotto un estratto

L'album è stato pubblicato il 4 maggio 1982, ed è considerato il più dark tra gli album prodotti dal gruppo nonché una delle pietre miliari del genere dark/gothic stesso. Musica e testi non lasciano spazio all'allegria, ma sprofondano nella malinconia e nel nichilismo. Ritmi incessanti e una scarna sezione ritmica, dove spesso trovano spazio solo il basso e la batteria a corredare la voce cupa di Robert Smith, ne fanno un album musicalmente pesante, segnato dalla rabbia e dal rifiuto della vita. L'abuso di droghe ha contribuito certamente al concepimento di quest'album, pieno di immagini di morte e decomposizione. Simbolico è il verso iniziale della prima canzone (One Hundred Years) , che recita "It doesn't matter if we all die" ("Non importa se moriamo tutti"). È stato il primo album della band a raggiungere la Top 10 nel Regno Unito, entrando direttamente al numero 8.

memorabilia

questo disco lo comprai all' uscita ed assieme a disintegration e quello che piu mi piace dei CURE
probabilmente bisogna essere dell' umore giusto ed io ero al tempo dell' umore giusto per ascoltare questo disco ,
comunque io l' ho frustato quindi merita -->ovvero compratelo e ascoltatelo fino all' inverosimile...................................... psssssssss! .................................. PSSSSSSSSSSS! .........PSSSSS
.. anche disintegration.... .

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