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Franceschini e Di Pietro si "mangiano" Vespa

La svolta del "Manifesto": da Marx alla D'Addario

aiuto Roma - Basta canone Rai, abboniamoci tutti a Sky. Antonio Di Pietro sceglie un classico della protesta contro la televisione di Stato - l’astensione dal pagamento del tributo annuale - e lo aggiorna con un invito inedito: aderire alla piattaforma di Murdoch. Il tutto contro le scelte dell’azienda. Proposta forte per difendere alcuni programmi e giornalisti Rai, che l’ex pm ha condito con accuse a danno di altre testate e personalità televisive. In primo luogo Bruno Vespa, che è stato definito di fatto «boia».

L’attacco di Di Pietro è in difesa delle trasmissioni Rai che sarebbero a rischio. «La dirigenza Rai, costola di governo, da una parte boicotta le trasmissioni di punta ad altissimo indice di gradimento come Report della Gabanelli, AnnoZero di Santoro e Ballarò di Floris, dall’altra - ha scritto Di Pietro sul suo sito - elabora strategie fallimentari come TivuSat e promuove l’informazione faziosa di soggetti come Minzolini o Vespa, che stanno al giornalismo come la sedia elettrica alla vita umana».

Ironica la replica del direttore del Tg1: «Anche nella scelta dei paradossi sedia elettrica e vita umana) Antonio Di Pietro dimostra di essere affetto dalla sindrome del boia. Mi chiedo: che c’azzecca uno come lui con la politica?». Più duro Vespa: «Per una deplorevole illusione ottica negli ultimi anni abbiamo avuto la sensazione che l’onorevole Di Pietro trovasse molto confortevoli le poltrone di Porta a porta». Prevedibile la conclusione: «Per salvaguardare la sua incolumità a tutela della democrazia italiana, eviteremo pertanto di invitarlo a sedersi sulla sedia elettrica della nostra trasmissione. A meno che, naturalmente, non si scusi». Le scuse non sono arrivate, l’ex Pm ha rilanciato dandogli del carnefice («Signor Vespa, il governo sta sabotando l’informazione di Stato, lei si presta come boia di questa esecuzione») e sostenendo che la richiesta di scuse «suona come una minaccia» che «affiderò anche ai legali per constatare la sussistenza del ricatto intrinseco».

Difficile dire quale sia la posta, se le ultime vicende Rai o la politica degli inviti nel «salotto buono» della politica italiana. Oppure altro ancora. Fatto sta che le poltrone di Porta a Porta sono finite nel dibattito politico anche grazie al segretario del Partito democratico. Lunedì era stato lo stesso Vespa a rivelare che Dario Franceschini era stato invitato. Ieri lo strappo. Il leader del Pd ha comunicato che non andrà a Porta a Porta il 23 settembre. Questo perché la sua presenza sarebbe considerata «una sorta di par condicio per coprire l’incredibile scelta della Rai di stravolgere i palinsesti per garantire al premier una vetrina». Durissima la risposta di Vespa. «Non le consento di definire una nostra trasmissione che lei ancora non ha visto, come una vetrina... Abbiamo invitato il presidente del Consiglio come facciamo da 15 anni per la seconda serata che apre la nostra stagione. Contestualmente abbiamo invitato il leader dell’opposizione». Argomenti che Vespa aveva speso già due giorni fa, ma che sono caduti nel vuoto.

E per una volta la ragione non dovrebbe essere solo l’attenzione maniacale della politica per la Rai. Franceschini ha proposto giorni fa quella che Pier Ferdinando Casini ha definito una «santa alleanza» contro Berlusconi. Un modo per caratterizzare la sua candidatura al prossimo congresso Pd con un passo verso Italia dei Valori, in continuità con le scelte di Walter Veltroni. Linea suggellata ieri da un pranzo tra Franceschini e Di Pietro a base di carbonara.

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